Salute

Servono più medici e invece li mandiamo via

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In Italia si continua ad affrontare l’emergenza sanitaria a colpi di restrizioni delle libertà personali,
ma la sanità è al collasso. A mettere ancora più in evidenza la crisi del Sistema Sanitario Nazionale sono le dimissioni di 6 medici dell’ospedale di Careggi che si sono licenziati dal pronto soccorso a causa, sostengono, di carichi di lavoro ormai insostenibili. Costretti a lavorare tutti i sabati e le domeniche, tutti i giorni festivi, cinque notti al mese, coi doppi turni, col rischio sindrome da burnout e senza un adeguato riconoscimento economico.

La drastica riduzione dei posti letto e del personale medico e infermieristico è stata realizzata attraverso scelte politiche basate sul “rigore dei conti”. Uno studio della Fondazione Gimbe ha calcolato in 37 miliardi di euro i tagli effettuati dal governo Monti in poi, anche se apparentemente sembrerebbe il contrario. Dal 2011 al 2020 la spesa sanitaria, infatti, è passata da 105,6 miliardi a 114,4, con un aumento dello 0,8% annuo, ma, in questo stesso periodo, l’inflazione è aumentata dell’1,07% ogni anno. Di fatto, quindi, si è speso meno da quando l’economista Mario Monti, con il Salva Italia, ha portato avanti una spending review. Dall’annuario statistico del ministero della Salute del 2017 risulta che il Servizio Sanitario Nazionale ha a disposizione 191 mila posti letto, mentre dal rapporto della Fondazione Gimbe si scopre che nel corso di un decennio, sono spariti 70 mila posti letto. Secondo il centro studi dell’ufficio parlamentare l’Italia è di gran lunga inferiore rispetto agli altri Paesi del Vecchio Continente: 3,2 posti letto ogni 1000 abitanti contro i 5 ogni 1000 della media europea (dati del 2017).

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