Cultura, tv e spettacoli

Sì, ha ragione la rockstar anni ’80: i Maneskin fanno schifo

Steven Wilson, leader dei Porcupine Tree, bacchetta il rock revival della band di Damiano

Cultura, tv e spettacoli

C’è una lezione che i manichini dovrebbero imparare. Prima dare prova di sé, poi dare pose di sé. Mentre il big business del vuoto fa il contrario, impone manichini, poseur che non hanno niente da dire “e il tempo gli rimane”. La filosofia dello spettacolo attuale è facile: prendi i soldi e sparisci, arraffa quanto puoi e goditi il fatturato, tanto non duri. I Maneskin per esempio. Creazione in batteria di Manuel Agnelli, leader di un gruppo di nicchia che mai ha avuto una hit in 30 anni, figlio di un industriale di Abbiategrasso dal quale ha ereditato i geni per gli affari.

Agnelli come rockstar è sempre stato irrilevante e lo sa, in compenso come gestore e uomo di pubbliche relazioni l’ha sempre saputa lunga e, tra un talent e una passerella sul tappeto rosso di cui nessuno capisce il presupposto, ha trovato il modo d’inventarsi questi quattro ragazzetti romani. Che però hanno stufato prima di dimostrare qualcosa, per la semplicissima ragione che non possono dimostrare niente. “Ah, ma loro hanno aperto per i Rolling Stones”. Che neanche sapevano chi fossero, come da tradizione e come candidamente ammesso da Keith Richards. “Ah ma loro hanno fatto la cover con Iggy Pop”. Che farebbe tranquillamente cover pure con Pacciani. “Ah, ma loro hanno tot milioni di follower”: qui casca l’asino, o il manichino. Se la sono presa col sottoscritto quando scrisse che non hanno neanche un pezzo, ma la verità è che le canzoni dei manichini Maneskin non sono canzoni, sono rifritture di roba altrui, come i costumi, come la mani del ragazzo Damiano di tuffarsi su tutto ciò che vede muoversi, fosse anche un cactus.

E adesso, puntuali, arrivano le stroncature. Autorevoli. Dapprima Steve Vai, figlio di Zappa, non proprio un signorino Nessuno: “Chi? Mi spiace, mai sentiti”; a ruota, i Porcupine Tree, creatori di un sofisticato neoprogressive che parte, a spanne, dai secondi anni Ottanta, di nuovo alla ribalta con un disco appena uscito, Closure/Continuation, non facile, non per tutti, non obbligatorio ma senz’altro complesso; tanto per dire, partiranno a settembre per un tour mondiale. E le loro parole sui nostri Manichini, suonano definitive come un epitaffio: “Sono terribili. Una copia scadente del passato”.

Ecco, è tutto qui, basta e avanza, non serve di più. Questi Maneskin non inventano niente, sono specchietti per giovanissime allodole e, d’accordo, non saranno né i primi né gli ultimi; il punto è che lo fanno con una insostenibile leggerezza dell’essere fuffa che se finisce subito sui coglioni all’ascoltatore medio che il rock lo mastica, figuriamoci a chi lo fa da trenta o quarant’anni. Poi il leader dei Porcupine Tree, Steven Wilson, sviluppa le sue riflessioni e lo fa da reduce, paragona Billie Eilish, un’altra che ha puntato sul disagio, sul mangiarsi le unghie e poi, di botto, ha tirato fuori due bocce così, da influencer, ai nomi di prima, e se ne possono fare quanti si vuole. “La musica da tiktok non ci appartiene”.

Perché non è musica, è un tiktok che martella cervelli deboli. Sta tutto lì: i manichini Maneskin non creano niente, non inventano niente, riciclano roba ignota ai socialmocciosi, ma solo a loro. Con un’arma che prima non c’era, però: il totale controllo dei media. Che, intendiamoci, funzionava anche prima, solo che se non valevi, se non esistevi, nessun mezzo d’informazione/comunicazione si azzardava a investire su di te; adesso è l’opposto, meno valgono e più la bolla impiega soldi, mezzi: non è un caso che dopo le sue dichiarazioni, Wilson sia stato azzannato, in toni tra il puerile e il triviale, praticamente da tutte le testate. E ci vedi la longa manus dell’industria, che paga, che compra pagine e “recensori”, su, non prendiamoci in giro, ché il giochetto lo conosciamo tutti.

C’è un terrore, che il giocattolo si rompa prima di avere fruttato tutto il possibile: nel caso dei nostri Manichini, è prevista tra un po’ la drammatica scissione, il tuffatore Damiano che prosegue da solo e poi farà la fine di Tommaso Paradiso. O di Achille Lauro, altro surrogato già in evaporazione.
Ma i giornalisti e i lacché dell’industria dei suoni possono latrare fin che vogliono, e i quattro succedanei “terribili”, in senso qualitativo, possono agitarsi, tuffarsi, atteggiarsi, pomparsi, genderizzarsi addosso fin che vogliono: con niente si fa niente e la parabola è tracciata.

Va a finire che, tra un po’, si parlerà più della fidanzata di quello che è fidanzato con la fidanzata di quello dei Maneskin, la apprendista totale che va al ristorante in reggiseno e ascelle cespugliose in segno di ribellione e tutela delle femmine. Una che si gnagnera addosso ogni dieci secondi e di sé dichiara polemicamente: “Sono troia radicale”. Sai la novità, sai che scandalo. Questi tipetti sono insopportabili, hanno la spocchia dei saltafila che non valgon niente, non hanno niente da offrire. Lo sanno anche loro. Sono meteore teleguidate, a scadenza, a loro modo patetiche. Sono terribili.

Max Del Papa, 6 luglio 2022