La capogruppo al Senato di Civici d’Italia-Noi Moderati-Coraggio Italia-Udc-Maie, Michaela Biancofiore, ha avanzato una proposta per gestire l’emergenza migratoria: creare un’isola artificiale al centro del Mediterraneo (a mo’ di pit stop) per evitare che i clandestini sbarchino sulle coste italiane. L’idea di Biancofiore ricorda vagamente l’esperimento dell’Isola delle Rose, la piattaforma progettata da Giorgio Rosa al di fuori delle acque territoriali italiane che ebbe vita dal 1958 al 1969.
Cosa ha detto Biancofiore
Il senatore considera prioritaria la realizzazione di “un hub di accoglienza e salvezza, e di verifica se gli immigrati abbiano titolo a venire in Europa o siano clandestini”, sulla falsariga del modello australiano (di cui parleremo più avanti). Durante la trasmissione de La Verità “Dimmi la verità”, Biancofiore ha osservato che si tratterebbe di agire “in accordo con l’Ue e l’Onu”, ricordando come la sua proposta sia simile a “quanto ha suggerito anche la Grecia: un luogo neutro di cooperazione internazionale, di concerto con la Croce Rossa e altre associazioni umanitarie”.
Biancofiore vorrebbe far approdare i migranti e successivamente procedere alle misure di identificazione per valutare il diritto a chiedere e ottenere asilo. “Chi non ha i requisiti – aggiunge – dovrà essere rimpatriato, come sottolineato dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen. Si impedirebbe così il dramma di Lampedusa, di Porto Empedocle o di altri luoghi rivieraschi del nostro Paese o della Spagna, della Grecia, di Malta e così via”. Segue un feedback positivo sull’operato del governo in tema di migranti: “Benissimo quanto sta facendo la premier Meloni per fermare gli sbarchi di clandestini e per non far diventare l’Italia il campo profughi dell’Ue. Dobbiamo imprimere una vera svolta al fenomeno migratorio impedendo che i clandestini arrivino sulle nostre coste che sono, ricordiamolo, i confini dell’Europa”.
Nelle parole di Michaela Biancofiore echeggia, seppure con i dovuti distinguo, la strategia intrapresa dall’Australia per impedire l’arrivo dei migranti: piattaforme offshore ad hoc in cui allocare i profughi provenienti dal sud-est asiatico. Ma il sistema di Canberra non è così semplice da attuare.
Le ombre del modello australiano
Il 6 ottobre 2021 il governo conservatore di Scott Morrison ha annunciato di aver siglato un’intesa con la Papua Nuova Guinea per porre fine, entro il 31 dicembre dello stesso anno, all’Accordo regionale di reinsediamento (RRA). In base all’RRA, entrato in vigore nel 2013 durante l’esecutivo di Tony Abbott, i migranti che cercano di raggiungere le coste australiane vengono dirottati sull’isola papuana di Manus e collocati nel cosiddetto “Centro di detenzione per richiedenti asilo”, noto come la Guantanámo del Pacifico. I cento richiedenti asilo che permanevano a Manus Island sono stati poi trasferiti a Nauru, remota isola del Pacifico occidentale che ospita analoghe strutture.
Da anni la comunità internazionale chiede lo stop di questa pratica, ritenendo il regime di detenzione offshore un trattamento degradante e inumano. I rifugiati, che sarebbero sottoposti ad una pressione psicologica inimmaginabile, non hanno contatti con il mondo esterno e non sanno quando potranno lasciare i luoghi di detenzione. Stando a un’inchiesta pubblicata il 10 agosto 2016 su The Guardian, tra maggio 2013 e ottobre 2015 nel centro offshore di Nauru si sono registrati duemila incidenti tra percosse, autolesionismo, aggressioni, minacce e addirittura abusi sessuali perpetrati ai danni dei bambini.
Isola artificiale: sì o no?
I critici ritengono che il “metodo australiano” possa contraddire parzialmente il contenuto della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 e il successivo Protocollo del 1967. Si badi bene: parliamo di rifugiati, non di migranti economici. Mentre i primi sono individui che hanno ottenuto l’asilo politico in una nazione straniera a causa di discriminazioni o persecuzioni nei Paesi d’origine, i secondi non soddisfano i criteri per conseguire lo status di rifugiato e non beneficiano della protezione internazionale prevista per i suddetti.
Predisporre degli hub offshore per arginare gli approdi sulla terraferma è un’ipotesi senza dubbio audace. Ma l’idea di Biancofiore può funzionare? La risposta è: difficile. Di certo occorre promuovere politiche non predatorie nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, intervenendo in maniera strutturale per contenere i flussi migratori; non attuare “provvedimenti cerotto” che potrebbero risultare insostenibili dal punto di vista economico e umano.
Lorenzo Cianti, 21 settembre 2023