Società

“L’uomo che pulisce uccide l’eros”. Sia lode a Laura Chiatti

La modella presa di mira dagli odiatori progressisti: “Non tollero l’uomo che dà l’aspirapolvere”

Laura Chiatti a Domenica In faccende di casa eros

E diciamolo, dai, diciamolo subito come va detto e ci togliamo il pensiero: che “zoccola reazionaria” la Laura Chiatti che non vuol far sfaccendare il partner in casa. Lurida schifosa fascista – vado citando per profili social d’illuminati, progressisti, quelli che… “odiare ti costa”, citofonerei anche alle Lilli, la Gruber del salotto televisivo diversamente democratico la Segre dell’inutile patetica commissione vigilante contro i crimini d’odio, ma temo non mi risponderebbe nessuno. Schifosa, farabutta, cessa – si può dire? Sì, da sinistra si può dire, ignobile chiattona Laura. Che dalla zia Mara, un’altra che da 50 anni officia il qualunquismo domenicale televisivo, quello sì perbenista, sul reazionario ammantato di trasgressione cartonata, si è permessa di dire quello che all’incirca una donna su due dice, benché in camera caritatis; lei lo ha detto davanti a qualche milione di teleagonizzanti: «Le mansioni le faccio io, quelle più pratiche tipo cucinare, sistemare, pulire. Anche perché io non tollero l’uomo che si mette a fare il letto, a dare l’aspirapolvere. Non mi piace, mi abbassa l’eros».

Normalissimo. Banalissimo. Irrilevante. Eppure apriti cielo e anche apriti fogna dei Twitter e derivati: chi non capisce per limiti mentali, chi fraintende perché è un farabutto in servizio permanente effettivo, chi finge di non capire per convenienze strutturali, “Benvenuti nel Medio Evo di Laura Chiatti”. Un giorno forse capiremo come si fa a far fortuna partendo dal cazzeggio per salire, o scendere, allo spionaggio. Medio Evo sarebbe se l’uomo obbligasse la Chiatti di turno a servirlo, se la Chiatti lamentasse lo schiavismo domestico, in uno scenario da Canzone della terra di Lucio Battisti, il bruto contadino che torna a casa e “donna mia devi ascoltare, subito a letto voglio andare e puledra impetuosa ti voglio sentire”. Ecco, quello sì che era terribile; qui è tutto l’opposto, c’è una donna, di carriera, di successo, a suo modo di potere, che può permettersi di scegliere: l’uomo elettrodomestico non le piace, non lo considera una rivalsa sul patriarcato, non le interessa pareggiare le mansioni tra le quattro mura, bene, brava, buon per lei, contenta lei, contento il maritino, contenti tutti. Si chiama libertarismo: ciascuno scelga come gli va, si regoli come crede, e più non questionare.

Invece è subito partita la scontata, pallosa, becera contraerea di chi considera il mondo libero di adeguarsi alle proprie aspettative, ai rimasugli ideologici malamente assimilati, al luogo comun(qu)e, al qualunquismo. Una cosa futile, una attrice che si diverte a provvedere alla routine casalinga e decide che l’ometto con grembiule le abbassa l’erotismo, diventa una battaglia militante tipo il post estetismo di Elly Schlein, una che ha traghettato il post marxismo dai cambiamenti climatici ai cambiamenti cromatici. Una stilisticamente versatile, ma soprattutto Versace.

Siamo alla sagra del cialtrone: gli stessi che tiravano le monetine a Bettino, il potente della Milano e del socialismo “da bere” degli stilisti e degli architetti, sono quelli che oggi sostengono il comunismo da bere e da bersela dell’ereditiera in chef con la consulente alle nuance. Con l’immancabile doppio standard ovvero se lo faceva Cinghialone era fascismo, se lo fa Sardina è democrazia. Allo stesso modo va colta la mutazione familistica: oggi quanto rimane della sinistra populista si straccia le vesti se una bionda ammette le sue preferenze in tema di uomini non accessori, ma un tempo i comunisti nella variante toscana, emiliana o sarda non avrebbero mai tollerato di spostare una forchetta in vece della mogliera, presi com’erano dalla missione di realizzare il paradiso in terra per i proletari (e, già che c’erano, magari far fuori tutti gli altri).

Sì, il comunismo di derivazione sovietica, che nella Russia putiniana è rimasto praticamente intonso con tutto il suo portato di odio verso gli omosessuali, i non binari, gli uomini non rudi, non capaci di accoppare un orso a mani nude, degradati a molluschi, era quello dei militanti che, lo racconta Enrico Ruggeri in una intervista recente, se ti vedevano con sottobraccio un disco di David Bowie (o Renato Zero), ti aggredivano, non tollerando che ascoltassi la musica di “quel frocio di merda”. Col tempo i kompagni si sono civilizzati, buon per loro; o almeno fingono, perché nel privato restano spesso i pregiudizi, resta il razzismo che non è tanto diverso da quello, uguale e contrario, della destrona violenta e reazionaria. L’intolleranza bovina però, quella non cambia.

Nel dopoguerra le “rezdore” dell’Emilia rossa, che erano le vere autorità, le “reggitore” della casa e della famiglia, se il maschio solo si azzardava a invadere il loro territorio d’azione, lo fulminavano: te va’ via, che mi fai solo disastri, va’ mo’ da un’altra parte che da aggiustare ce n’è. Chi scrive ne ha memoria diretta e non teme smentite. In fondo, la sofisticata divetta italica Laura Chiatti non ha fatto niente di diverso, niente di eversivo. Ma il populismo di sinistra oggi si declina in versione gender: tira, si fa per dire, l’uomo celenterato, se non sei un antimaschio con le ballerine, lo zaino rosa con dentro un bambino (senza sesso), se non marcisci eternamente in casa da solo a mettere a posto i cassetti, agghindato in cresta, pettorina e magari smalto fluo, non trovi cane che ti abbai. Sono i modelli imposti dall’Europa, sul consumistico-neoideologico, che farebbero calare la libido pure a Messalina ma non ditelo, prendete quella impunita della Chiatti e lapidatela: è lei a fomentare odio, è lei, la medievale, a provocare.

Max Del Papa, 1° maggio 2023