«Salvare l’Enel dalle logiche di mercato», si legge nel volantino con il quale i lavoratori dell’Enel hanno scioperato l’8 marzo. E il segretario della Cisl spiega meglio: «Strizzano l’occhio alla finanza e fanno solo operazioni per far quadrare bilanci e produrre utili. Ma non può essere il mercato a dettare le strategie operative di Enel». Il Pd ha subito appoggiato le rivendicazioni (sic) che, in effetti, più che sindacali sembrano politiche. Con la stessa logica con cui aveva contestato le limitazioni imposte allo sciopero generale dei trasporti del novembre scorso dall’Agenzia che regola la materia. Ma ritorniamo alla festa della donna. Le piazze e l’Italia hanno visto proclamati scioperi praticamene in tutti i settori: dall’Enel, appunto, agli asili; dai vigili del fuoco ai trasporti.
Alla Costituente un sindacalista, di quelli tosti, come Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil, diceva: «Lo sciopero è un atto grave e solenne, da usare con grande parsimonia per difenderne il valore civile e morale». Oggi siamo alla follia. È diventato uno strumento puramente politico e ideologico, che poco ha a che vedere con le ragioni dei lavoratori. Le piazze urlano contro il patriarcato, contro la dittatura della meritocrazia, contro Israele e il suo supposto genocidio. Cosa diavolo sta succedendo? I lavoratori che legittimamente scioperano rischiano di diventare così uno strumento elettorale.
Il caso Enel è significativo. Intanto perché rispetto al contestato sciopero generale dello scorso novembre, vede tutte e tre le sigle sindacali concordi: anche la Cisl ritorna a far parte del club dei massimalisti. E poi perché si tratta di una delle poche multinazionali italiane con i conti in ordine e con una proiezione internazionale di rilievo. I sindacati elettrici sono contrari alle logiche di mercato per una società quotata in Borsa, con migliaia di piccoli risparmiatori e che ogni anno stacca un assegno importante a favore dell’azionista pubblico in quota dividendi. Non ci si può credere, ma si pretende di «salvare Enel dalle logiche del mercato». Hanno scritto proprio così.
Sono proprio le logiche del mercato che permettono al colosso elettrico di pagare lo stipendio ogni mese a 80mila dipendenti (di cui 30mila in Italia), a dare un ottimo rendimento sul titolo e a permettere al ministro Giorgetti di raccattare un po’ di quattrini per il disastrato bilancio pubblico. Quali dovrebbero essere le logiche da seguire per lorsignori (come si sarebbe scritto negli anni ’70…)? Quelle che hanno adottato tante altre aziende italiane a partecipazione pubblica e che oggi sono fallite? Conoscono meglio i sindacati dei manager le giuste politiche da adottare per la transizione verde di cui tanto si riempiono la bocca? Sono forse loro che devono stabilire come distribuire 17 miliardi di investimenti che l’azienda ha in programma di fare solo in Italia?
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Gli scioperi sono diventati un formidabile strumento di opposizione a questo governo. E non va bene. Per due fondamentali ordini di motivi. Il primo riguarda la difesa dei lavoratori. Siamo di fronte a una rivoluzione tecnologica e se si pensa che l’obiettivo sia la lotta al patriarcato e al mercato, evidentemente non si ha la più pallida idea di come davvero difendere i lavoratori dalla bomba nucleare che è già scoppiata. Il secondo riguarda le imprese. Hanno bisogno di interlocutori che rappresentino gli interessi dei lavoratori e non dei partiti.
Se continua così, gli scioperi in Italia verranno visti come un banale mezzo di propaganda del Pd e delle sinistre, che nulla ha a che vedere con quanto lo stesso Di Vittorio sperava.
Nicola Porro per Il Giornale 3 marzo 2024
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