Quanto tempo ci vuole in Italia per perdere la libertà? Due minuti. Quanto tempo ci vuole per riavere la libertà? Non si sa, settimane, mesi, anni. Quanta libertà, ossia vita, è stata ceduta per avere la sicurezza? Tutta. Quanta libertà, ossia vita, si riavrà chissà quando? Poca, bisogna prima valutare, vedere, calcolare. Quanta sicurezza si è ottenuta barattando la libertà? Zero. Da un lato ci sono i contagi e dall’altro i morti, da un lato c’è l’arresto domiciliare e dall’altro la perdita del lavoro, il fallimento, la carestia. Come si chiama questo stato d’eccezione nel quale ci ritroviamo per insipienza collettiva scambiata per sapienza universale? Stato di polizia sanitaria. Come funziona? Come una perfetta trappola per topi. Noi siamo i topi. Credevamo di metterci al sicuro e, invece, ci siamo messi in trappola con le nostre stesse mani.
Perché siamo caduti in questa condizione distopica che credevamo possibile solo guardando Netflix? Ormai lo sappiamo. Non perché siamo stati sfortunati e nemmeno perché ci è venuto addosso una invincibile calamità naturale. No. Ci troviamo in questa situazione perché per precisa stoltezza amministrativa e sanitaria non abbiamo saputo rispondere, sia sul piano del governo sia sul piano degli enti locali, ad un particolare problema pratico che Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia e responsabile del laboratorio che esegue i test per il Covid-19 all’università di Padova, ha così espresso in un’intervista a il Giornale (dopo averla più volta spiegata un po’ a tutti coloro che hanno orecchie per intendere e dopo averla attuata nell’area di Vo’ Euganeo in Veneto): “Il piano antipandemia era pronto ma non è stato messo in atto a partire da metà gennaio nonostante ci fossero tutti gli elementi per prevedere che il coronavirus avrebbe colpito duramente anche il nostro Paese”.
Quando gli uomini si trovano in una sorta di situazione-limite, una specie di guerra di tutti contro tutti come potrebbe essere un’epidemia, non trovano di meglio da fare che trasferire tutta la loro potenza – o vita o libertà o diritto, son tutte le stesse cose – ad un sovrano che ha il compito, sciolto dalla legge, di riportare pace sociale. Nasce così lo Stato assoluto che Hobbes chiamava Leviatano. Ad un male estremo c’è un rimedio estremo. Solo che il rimedio è peggiore del male. La soluzione assoluta, come la definiva Vladimir Nabokov – quello di Lolita – non esiste. È solo uno spettro della mente. Un fantasma. Come nasce il fantasma? Dalla paura. E proprio perché si ha paura si firma una delega in bianco al Leviatano. Un perfetto circolo vizioso. Una perfetta trappola per topi. Che funziona davvero in modo diabolico e distopico. Basta accendere la televisione o un cellulare e prendersi a piccole o grandi dosi, come si preferisce, la propria razione di paura che il regime del terrore manda in onda ventiquattr’ore su ventiquattro in tempo reale/irreale. Un delitto perfetto che né Alfred Hitchcock né Jean Baudrillard avrebbero saputo pensare meglio.
Come si esce da questo labirinto? Riprendendo ciò che è nostro: la libertà, la vita, il lavoro, il dovere. Come diceva Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. Ossia non abbiate paura di voi stessi. Non si tratta di essere temerari e non aver paura di ammalarsi, bensì di esser consapevoli che da un lato la nostra libertà, la nostra intelligenza, il nostro lavoro, la nostra forza morale, la nostra vita non-immune non possono essere surrogate o sostituite da niente e da nessuno e dall’altro che il problema che abbiamo innanzi non è né nuovo né insolubile.
Nella stessa trappola per topi, del resto, l’epidemia non è bloccata ma, al contrario, continua ad alimentarsi e nella prima fase si è maggiormente accresciuta perché i positivi al virus non sono stati né individuati né isolati ma, al contrario, sono stati chiusi in casa con i sani. Una totale follia che è stata il frutto del panico generalizzato dal governo che avrebbe avuto il compito di mantenere la calma e la lucidità e, invece, è andato esso stesso nel pallone e non ha trovato di meglio da fare che creare uno stato d’eccezione.