Cinque anni fa, eravamo tutti Charlie. L’Europa per un attimo sembrò unirsi nel cordoglio verso i giornalisti del settimanale satirico massacrati da un commando di terroristi islamici. Oggi, possiamo dire, nulla è cambiato. Come scrive in prima pagina il quotidiano Le Figaro, la Francia ha imparato a convivere con la minaccia del fondamentalismo e non passa giorno in cui la cronaca non registri un assalto in nome di Allah. Ricordiamo in breve solo quelli sconvolgenti: il 13 novembre 2015, un commando di nove terroristi fa 130 morti e oltre 350 feriti a Parigi, nella sala da concerti del Bataclan (90 vittime), nelle terrazze di bar e ristoranti (39) e vicino allo Stade de France (uno). Attacchi organizzati dall’Isis. Nell’allucinante luglio del 2016 c’è una strage quasi ogni giorno. Il 14, un 31enne tunisino, Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, alla guida di un camion, investe e uccide a Nizza 86 persone. Più di 400 i feriti. L’Isis rivendica. Il 26 luglio, Padre Jacques Hamel, sacerdote di Saint-Etienne-du-Rouvray, viene sgozzato nella sua chiesa da due jihadisti, Abdel Malik Petitjean e Adel Kermiche, che vengono uccisi dalla polizia. L’Isis rivendica.
Niente è cambiato? No, qualcosa è cambiato in peggio. In nome della diversità e dei diritti umani, l’Europa assiste indifferente alla sua stessa fine. L’incontro mortifero tra immigrazione di massa e multiculturalismo non ha prodotto integrazione ma disintegrazione. Quando la demografia avrà fatto il suo corso, non tra molto, ci troveremo città dell’Europa del nord a maggioranza musulmana. Come si fa a non capire che questo fatto comporta una revisione, magari garbata e progressiva, della laicità dello Stato e di tante libertà per le quali noi europei ci siamo scannati per secoli?
Quando arrivò la notizia del massacro a Charlie Hebdo, testata “colpevole” di aver pubblicato vignette satiriche sul profeta Maometto, sui tavoli delle redazioni c’erano le bozze di Sottomissione, romanzo di Michel Houellebecq. Per sinistra ma significativa coincidenza doveva uscire proprio quella settimana. Houellebecq aveva visto bene, purtroppo. La Francia, e poi l’intera Europa, avrebbe scelto di essere governata dall’Islam moderato. La nostra società, tanto secolarizzata quanto infelice, poteva deporre un fardello divenuto insopportabile: la libertà. C’era un altro vantaggio: riscoprire una parte di quei valori tradizionali e rassicuranti che gli europei sono addestrati a odiare in nome di un progresso schiavo della tecnica, un progresso che punta a rompere ogni legame tra gli uomini, ogni senso di comunità, per schiavizzarci meglio e renderci ingranaggi della macchina del capitalismo assistito dallo Stato (niente a che vedere col libero mercato).
Houellebecq faceva un’altra profezia: gli ebrei di Francia avrebbero preferito emigrare. Non solo per gli atti di violenza ma per il clima quotidiano di ostilità nei quartieri “difficili”. E oggi Le Figaro pubblica una piccola inchiesta dalla quale emerge che l’ostilità esiste. Cosa incredibile: nell’articolo del quotidiano non si nomina mai l’origine dell’ostilità. Ma le parole degli intervistati sono comunque chiarissime: la questione è connessa all’immigrazione musulmana nonostante i media si ostinino ad agitare lo spettro del nazismo di ritorno. Eh no, il vero problema non è il nazismo. Sottomissione arrivava in un giorno tragico. Per la morte dei redattori di Charlie Hebdo innanzi tutto. Ma fu tragico anche per altri motivi.
Da quel momento, l’islam gode di uno statuto speciale: non si critica, non si deride, non si tocca. L’idea che la libertà d’espressione possa subire limitazioni fino all’altro ieri inconcepibili ora sembra più normale. Da quel momento, diventa plastica l’idea di un’unità politica ormai irraggiungibile di fronte ai temi chiavi della nostra epoca. Quando la Repubblica francese scese in piazza per manifestare, la destra del Fronte nazionale finì fuori dal corteo e con essa la percentuale altissima dei suoi elettori, bollati di razzismo. Ammesso e non concesso che lo fossero e lo siano, escluderli fu certamente ricacciarli volenti o nolenti proprio nell’area degli estremisti con i quali non si può condividere neppure il dolore.
Siamo dunque tutti Charlie Hebdo? Risposta negativa: chi pubblicherebbe oggi vignette satiriche come quelle costate la vita a diciassette persone quel 7 gennaio 2015?
Alessandro Gnocchi, 7 gennaio 2020