Viviamo ormai in una repubblica giudiziaria. Fondata sul lavoro di alcuni magistrati. A questo punto converrebbe prenderne atto e cambiare la Costituzione. Bisogna subito dire che la cosa riguarda solo una parte della magistratura. Ma essendo, questa parte, la più attiva, temiamo che per essa valga una vecchia legge economica: la moneta cattiva scaccia la buona. Nei giorni scorsi Angelo Panebianco sulle colonne del Corriere della Sera, ha mirabilmente spiegato il perché di questa nostra deriva. Su queste colonne ci limitiamo a mettere in fila alcune delle ultime vicende politiche ed economiche per lasciare al lettore le proprie considerazioni.
Il capo del più importante, dal punto di vista parlamentare, partito italiano e cioè, rullo di tamburi, Luigi Di Maio potrebbe aver perso una piccola pattuglia di senatori: quattro o cinque. Per un motivo, peraltro comprensibile, il movimento che guida ha votato ciò che solo qualche mese fa detestava (il fondo salva-Stati): ma questo è un altro discorso. Ebbene cosa fa il capo politico? Dice che della cosa se ne potrebbe occupare l’autorità giudiziaria. Continuando così, qualcuno potrebbe chiedere ragione a Conte, o a Salvini, della rottura del contratto di governo e fare, che so, una causa civile? O una querela per danni? Il governo ha deciso che l’emergenza nazionale non è il mancato sviluppo, o la disoccupazione, ma l’evasione fiscale. Ebbene, per combatterla non resta che dare maggiore potere ai magistrati che potranno arrestare, sequestrare preventivamente per sproporzione (avete letto bene il loro potere può essere sproporzionato) e commissariare (grazie al rafforzamento della legge 231) le aziende. Ottimo fine per armare le procure. D’altronde anche l’industrializzazione di questo Paese è affidata loro.
La procura e il tribunale di Taranto hanno deciso, oggi, di chiudere l’altoforno dell’Ilva, e ieri di sequestrarne un miliardo di prodotto finito (il che ha comportato costi immensi) come corpo del reato. A pasticcio si aggiunge farsa: un’altra procura ha chiesto, nelle settimane scorse, agli affittuari indiani di non osare chiudere il medesimo forno. Mittal come l’asino di Buridano: morirà, e con lui diecimila dipendenti, non sapendo dove girarsi. Le procure, e su questo molti comprensibilmente applaudono, aggiustano financo la nostra politica di bilancio. Parliamoci chiaro: la procedura di infrazione comunitaria dell’anno scorso è stata in parte sventata grazie al miliardino che Francesco Greco ha incassato dai proprietari di Gucci. Gli arbitrati fiscali (ruling, dicono gli anglosassoni) un tempo si facevano al ministero, oggi in procura.
Beh, poi c’è la solita questioncella della politica e degli affari. Sia Renzi sia Salvini, due giovanotti che non hanno il temperamento di farsi dettare la linea dalle procure, quando alzano un po’ la testa, zac vengono rimessi a posto. La diffusione delle carte sulla villetta di Renzi comprata grazie ad un prestito subito restituito (che si poteva ben risparmiare) non si capisce bene per quale motivo siano state gettate sulla pubblica gogna. Così, alzi la mano chi davvero ritiene Salvini responsabile di sequestro di persona (e quando le navi sono al largo come recentemente è accaduto sotto il regno Lamorgese?) o che sia un ladro per abuso di aerei di Stato? Potremmo continuare all’infinito.
Potremmo citare politici arrestati e rilasciati di ogni colore politico (meglio se non rosso), inchieste finite in nulla, ma clamorose alla loro nascita. Ma non sono questi i veri danni. Essi sono la panna montata. Ciò che c’è sotto è una società impaurita, che ogni giorno rischia di sbagliare e venir punita, che preferisce, se può, non fare piuttosto che procedere. E una classe politica imbarazzante, che invece di reagire, piagnucola e chiede aiuto all’autorità giudiziaria, per fare le pulizie di bottega.
Nicola Porro, Il Giornale 13 dicembre 2019