Non siamo forse al livello dei “congiunti” di Giuseppe Conte o alle “concessioni” di Luigi Di Maio, ma sul coprifuoco stiamo vivendo un paradosso indescrivibile. Prima il governo sceglie di imporre il rientro a casa alle 22, in barba al buon senso e alle esigenze dei ristoratori (a proposito: #ioil22nonlovoglio). Poi un ministro, in questo caso Maria Stella Gelmini, si lancia in una personalissima interpretazione dell’orario limite: si può restare seduti al tavolo per finire il dessert prima di rimettersi in marcia e tornare a casa, senza rischiare sanzioni anche se si sfora il coprifuoco. Infine un sottosegretario, Carlo Sibilia, smentisce il ministro, ribaltando la lettura permissiva e mostrando il cartellino rosso: la circolare del Viminale è chiara, tutti in pantofole entro le 22.
Ora, il problema non è tanto che un sottosegretario smentisca un ministro. Né l’irrazionalità della norma ora che si affacciano le belle giornate e la voglia di stare all’aperto aumenta. Il vero dramma è che le libertà dei cittadini si sono ridotte ad un botta e risposta tra esponenti politici. Sono loro a “permetterci” cosa fare e cosa no con interpretazioni e risposte alle Faq. Altro che Costituzione, leggi, regolamenti: tutto viene deciso in un battibecco tra partiti, come se stessimo decidendo il colore da dare alla cucina di casa. E invece parliamo del semplice, banale diritto di starsene la sera in giro. Liberi.