Sic transit gloria Amadeus, il “fuoriclasse” ridimensionato

“Chissà chi è” sul Nove è un pacco. E adesso anche i suoi adulatori iniziano a mollarlo

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Amadeus 9

Sic transit gloria televisionis, polvere eri e polvere ritornerai. Per questo non conviene tirarsela troppo da Padreterno che giudica e manda, e, se gli gira, manca e fa pesare l’assenza. Amadeus a forza di corteggiamenti e blandizie del potere era arrivato a credersi provvidenziale e se n’è andato dalla Rai suonando le trombe del giudizio e mandando messaggi escatologici del tipo “Io sono”, vado e vengo dove mi gira tanto mi vogliono tutti. Invece appena sbarcato su la Nove, un network commerciale, concorrente della Rai cui ha sottratto alcuni grossi calibri a colpi di milioni, fallisce e lo mollano tutti.

Che ne è adesso della tua spocchia, amico? Amedeo Sebastiani da Verona, detto Ama, ex deejay, era sbarcato col naso all’insù e l’aria di quello che dettava le regole; alla Rai facendo pesare la mancata empatia, cioè lui voleva imporre il clan familiare, amicale ma l’azienda a un dato momento ha detto basta, calmati, ti copriamo d’oro, ti assecondiamo in tutto, ti diamo il Presidente al Festival, ma anche tu datti una regolata. Amadeus invece, subito le valigie pronte dove gli davano più abbracci e bacini, dove amavano Ama, davvero, col contorno di Ciuri, Fiorello, e poi moglie, figlio e chissà che altri protegée. Adesso pare che anche a la Nove certe passioni siano già smorzate, come quei matrimoni che s’incrinano già uscendo dalla chiesa. Ma non è proprio vero che “adesso tutti si improvvisano esperti di televisione” come ha scritto polemicamente un giornale per dire chi l’avrebbe detto, facile adesso sparare sul conduttore. Non è vero, perché qualcuno lo aveva pur immaginato, si era posto i quesiti fatali: conta di più il Padreterno o il Paradiso, inteso come contesto televisivo? Trascina di più la faccia o il format?

Casomai a celebrare il trasloco degli dei furono proprio quelli che oggi polemizzano. Perché l’informazione pubblicitaria non analizza e non critica, se non a posteriori, in modo sciacallesco, come gli esperti del clima che ti spiegano domani perché ieri ha diluviato anziché desertificare. Perché l’intreccio fra conduttori padreterni, manager padreterni, giornalisti che si sentono padreterni anche loro, mettici pure i padreterni della politica, mai del tutto estranei a certe logiche, questo viluppo di poteri e di potenti rende impossibile qualsiasi altra cosa che non sia il giubilo, l’agiografia sfrenata. Poi, quando le cose vanno storte, eccoli a pontificare sull’ovvio: è andata male perché non aveva abbastanza pubblico.

Ma a questo punto non si capisce più niente. L’erede, presunto, dei Mike, dei Pippo, dei Corrado ha cambiato rete riproponendo pari pari lo stesso programma dei pacchi e dei soldi, lo stesso format: qua ha avuto il crollo, di là mieteva successi. Con le stesse pappole. Allora non dipende dal format e neanche dalla faccia. Forse, tutto sommato, non dipende neppure dalla rete, quanto, più banalmente, da certa pigrizia del cittadino plebe che, dove trova acceso lo schermo, lascia. È da folli pensare che uno si scomodi a solfeggiare il telecomando per seguire chi celebra la stessa cosa di prima e che continua ad essere celebrata, identica, nel posto passato a un altro. Se tutto è identico, lascio dove trovo, a caso. Ne deriva pure la sostanziale fungibilità delle facce: Ama non è l’ultimo arrivato, non è questo De Martino ex moroso di Belen e nelle asserite simpatie delle sorelle Meloni; senonché non c’è storia, nel senso che la storia televisiva del personaggio non conta come non conta la sua faccia, il suo nasone o i tatuaggi.

La melassa televisiva è uniforme, le idee scarseggiano, vengono comperate da emittenti straniere, imposte dappertutto, che si tratti di chiacchiere o di pacchi. Se uno segue la campagna elettorale americana, i suoi talk show, li trova perfettamente sovrapponibili a quelli nostrani, i quali, quando scadono ulteriormente, lo fanno adeguandosi alla linea americana. Sicuramente c’è un problema di carisma, sicuramente i presentatori di oggi non sono come i loro padri, il che vale per tutto dalla musica alla narrativa, dallo sport alla recitazione.

Ci sono tempi, momenti strani, di strani Rinascimenti in cui i fuoriclasse sembrano esplodere dappertutto, e poi, di colpo, la morìa del talento e delle trovate, del coraggio di osare: quest’ultimo, poi, in una fase storica di censura ossessiva come il woke, è stato praticamente seppellito. C’è anche tanta, troppa confusione, una apparente sterminata possibilità di scelte viceversa convogliate, obbligate e fittizie: dove scegli scegli, trovi sempre la stessa roba, le stesse facce, valutate in ingaggi milionari come i calciatori e spesso bidoni al loro pari.

È anche vero, ma ovvio, che un Fazio si porta dietro un pubblico fanatico, abbruttito, che pur di sentire peste e corna di Meloni e di Salvini scorticherebbe la madre, meccanismo improponibile con le eredità e i quizzetti. Un flop di Ama, che si credeva di camminare sulle acque dell’audience, di moltiplicare pacchi e pesci alla plebe?

Senz’altro, nella misura in cui ne esce demolita la supponenza, la presunzione. Ma la sconfitta, vera, è quella di un intrattenimento penoso, che non ha più niente da dire e al quale il pubblico non ha più neiente da dare, non pazienza, non attenzione. Lo si vede puntualmente a Sanremo: i conduttori passano, i dieci milioni fissi restano a dispetto di uno spettacolo sempre più miserabile, di cantanti sempre più improponibili, canzonette insulse che servono solo a giustificare le mutande in mezzo al sedere della griffata di turno.

Nessuna idea, nessun guizzo: ma fa scalpore la prima confessione di un fuori di testa omicida in diretta. Sarà spontanea? O lo hanno pagato, questo scemo, provando riprovando la scena? Quello che lascia sconcertati è sentire gli autori, o responsabili, della faccenda dire “noi facciamo il nostro mestiere”. No, questa informazione televisiva tutto fa tranne che il suo mestiere. Altrimenti avrebbe previsto o almeno ipotizzato, su basi giornalistiche, di inchiesta giornalistica, non il flop di Ama ma quello, gigantesco, dell’auto elettrica così come non si nasconderebbe davanti alla strage continua, alle morti improvvise o galoppanti.

Invece l’informazione pubblicitaria procede allo stesso modo dei grandi equivoci e grandi inganni, dal “ve lo garantiamo” al “ve lo avevamo detto”. Ma non avevano detto niente. Pare che nel programma del killer confesso si sia stappato, “siamo arrivati prima di tutti”, così come nelle trasmissioni concorrenti si sia bestemmiato il dio delle casualità e del demerito, perché se una cosa la fa quell’altro è sempre culo e ingiustizia. Ma spetta forse a un conduttore raccogliere la confessione di un fatto trucido? Non la si è concordata con gli inquirenti, che in caso hanno dato l’assenso come già quindici anni fa con l’orrendo squallore della minore Sarah Scazzi?

Di probabile, se non certo, c’è che si è gettato il seme avvelenato di una tendenza; che dagli omicidi senza apparente spiegazione, dai “non so perché l’ho fatto, cosa mi ha preso”, passeremo velocemente a “ho scannato per andare a dirlo in televisione, per entrare in televisione sperando di non uscirne più”. La degenerazione successiva non potrà essere quella dell’omicidio in diretta e questo sia detto non per fare il Pasolini dei poveri, ma come chi sente, raccoglie certe voci oltre il cinico degli addetti ai lavori. Anni fa, pochi anni pareva impossibile la morbosità del male e galopppando siamo passati oltre, ci siamo inabissati, senza neppure vergognarci. La regola vera dello spettacolo non è che deve continuare qualsiasi cosa accada, ma che qualsiasi cosa deve accadere pur di farlo continuare. Nell’acquiescenza generale che digerisce tutto, confonde tutto, non distingue più niente.

Max Del Papa, 26 settembre 2024

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