Ci sono interviste che sono autentiche, insperate botte di culo: Elvira Serra per esempio avrà portato un cero grosso come un baobab davanti a san Francesco di Sales, protettore dei giornalisti. Qualcuno, al Corriere, le avrà buttato là, senti, c’è sta roba della siccità, prova un po’ a sentire Pratesi, c’ha 90 anni, è presidente onorario del WWF, è stato parlamentare dei Verdi, vedi un po’ se ha qualcosa d’interessante da dire. Altro che interessante! L’esponente dell’ecologismo-cocomero, verde fuori e rosso dentro, ha regalato un diadema di perle inestimabili di cui si parlerà nei secoli dei secoli, amen.
Roba hard, che più hard non si può. Perché a sentire gli ecoconsigli di Fulco, due sono le cose: o si crepa secchi d’infezione, o si diventa come lui, bionici. Inattaccabili, resistenti ad ogni morbo in natura, di laboratorio, di galassie aliene. Perché Pratesi, tanto per dire, non si spara una doccia da una sessantina d’anni, “giocavo ancora a rugby”, in compenso beveva l’acqua del Tevere “che mi ha sviluppato gli anticorpi”. E perché no un drink di scorie nucleari? Lui si fa la barba a mano e riusa l’acqua per sciacquarsi la faccia “e i punti critici”, ma giusto “una passata velocissima”: i proverbiali gatti ci si dedicano di più.
La catechesi ecologica di Pratesi
Ma che problema c’è? Pratesi ironizza su “quelli che dicono, ah, se non faccio la doccia tutti i giorni mi sento sporco: ecco, io no. E la mia vita sociale non ne ha mai risentito”. Quella degli altri, eventualmente, un po’. A meno che al WWF non usino tavoli di misura Putin.
Anche la moglie, per dire, ci sta attenta: Fulco, snobisticamente, lascia intendere che hanno studi separati e anche dormono in stanze separate, e c’è da capirla, povera donna, qui è questione di sopravvivenza.
Insomma, un biFulco. Che però patisce anche lui le sue piccole contraddizioni: la parte abitata dalla consorte ha (saggiamente) l’aria condizionata, dove sta lui invece girano solo le pale di un ventilatore; e che, il ventilatore funziona forse ad Ave Marie? Ma il meglio deve ancora venire, l’intervista è un crescendo rossiniano, a un certo punto Pratesi racconta il suo lavaggio dentale: praticamente a secco, l’acqua del bicchierino riutilizzata per i gargarismi prima di buttarla via: peccato, poteva tornare utile ancora un po’ di volte; come quella dello sciacquone, che non scorre mai prima di due-tre pisciate almeno, il che, con questo caldo, deve assumere conseguenze assai resilienti.
Ma tanto la vita sociale non ne esce pregiudicata. Dev’essere un po’ complicato avere per vicino di casa un ecologista integrale i cui discorsi, a 87 anni, ricordano quelli dei figli della Greta eterna che tutti i giorni bloccano il Grande Raccordo Anulare “per salvare il pianeta dalla CO2”: col bell’effetto di creare serpentoni chilometrici di lamiere che sgasano tappi di smog come neanche a Pechino in un giorno di nebbia. Hai voglia a farli ragionare, quelli: qualche motociclista ci ha provato, dopo un quarto d’ora sotto un sole di piombo s’è arreso: “Mò m’hai rotto er cazzo”, ed è sgommato via. Coi matti finisci al manicomio.
Eppure Pratesi non ha dubbi, ha solo rimorsi: quando utilizza l’acqua per “lavarsi”, pensa ai bambini del Burkina-Faso che non ce l’hanno. Ecco, questo è uno dei classici deliri populisti della sinistra radical sniff: se io, che per mero esempio vivo nelle Marche marinare, mi concedo una doccia, che Pratesi mi perdoni, utilizzo acqua trasportata dai tubi del Consorzio Idrico Piceno e prelevata dai Monti Sibillini, preappenninici: cosa c’entra il Burkina-Faso? Se resto con le croste, a sudare, a tanfare, forse se ne giovano? Ottengono l’acqua che “risparmio” io?
L’ipocrisia ecologista di sinistra
Qui affiora la demenziale confusione fra cautela e fanatismo, l’abisso che passa tra il non sprecare una fonte, una risorsa, e il farne a meno nel segno di una solidarietà sterile e insensata, o, peggio, ipocrita. Pratesi afferma orgoglioso di non cambiarsi le mutande prima di due o tre giorni, “anche di più, tanto quando serve, si vede”, e certo; la sottile linea gialla. Ma, posto che non si capisce in cosa questo andazzo contribuirebbe a salvare il pianeta, affari anzi afrori suoi, purché non diventino affanni nostri. Ciascuno si coltivi come vuole, c’è tutta una tradizione che dai sanculotti rivoluzionari arriva fino ai centri sociali, a base di olezzi, scelte antigieniste, la brigatista Nadia Lioce non si depilava “per essere più comunista”, le femmine antiborghesi hanno sposato, tra non poche contraddizioni e patemi d’animo, la svolta cosmetica solo in tempi recenti mollando la trasandatezza come bandiera ideologica più che ecologica: va tutto bene e non è neppure il caso di tirar fuori la solita battuta ormai rancida sulla sinistra dei lavativi che non si lavano.
Il punto è un altro: ambientalisti, ecologisti, sinistri possono non lavarsi quanto vogliono, il problema è quando impongono agli altri lo stesso. Allora non ci siamo più. Perché io, se mi va, devo essere libero di sentirmi fresco, di farmi una o più docce al dì senza dovermi sentire uno stragista di africani; perché lavarmi i denti come Dio comanda, e così “i punti sensibili”, o anche solo il piacere di una rinfrescata quando mi gira non può valermi l’accusa senza appello di essere “di destra” (e se lo fossi, tanto piacere); perché non intendo in alcun modo chiedere a Pratesi il permesso di cambiarmi la biancheria in carta, e tanto meno mutanda, bollata.
C’è un’altra cosa, per due anni ci hanno passeggiato sui cosiddetti coi tacchi a spillo perché in tempi di pandemia bisognava lavarsi le mani ogni cinque minuti, ogni volta che si rientrava in casa, che si sfiorava anche un ciliegio in fiore. Come mai Fulco Pratesi non ha mai detto niente? Lì i bambini del Burkina-Faso non contavano?
La sinistra passiva-aggressiva, anche nell’igiene intima, casca nello stesso sfondone. Non dice: siccome in troppe zone del mondo non c’è acqua potabile, ebbene facciamo in modo che ce l’abbiano, si promuovano le condizioni industriali per portarcela, no: loro dicono, siccome quelli non ce l’hanno, facciamo a meno anche noi. No al capitalismo, niente a tutti, ecco il comunismo di ieri, di oggi, di sempre: ma sì, che la massa torni alle caverne, alle pestilenze del Trecento, poi, chi può, con il doppio appartamento. E vadano ad abbeverarsi al fiume, come cavalli. Ma se tutti avessero bevuto, come Pratesi, l’acqua del Tevere, il Tevere sarebbe finito da un pezzo e Roma non sarebbe stata la stessa (anche se ormai non si riconosce più comunque, grazie ai mandati grillopiddini che hanno rinchiuso i romani e sguinzagliato i cinghiali).
Lunga vita a Fulco, che come figlia putativa ha Carola Rackete. Io però, mi scuserà, la mano non la darei, né a lui, né a lei. Niente di personale, ma sai com’è, se non l’occhio anche il naso vuole la sua parte.
Max Del Papa, 22 giugno 2022
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