Rassegna Stampa del Cameo

Per i sindacati giapponesi i robot salveranno il lavoro

Rassegna Stampa del Cameo

Anni fa provai a mettere in fila i problemi (molto spesso sono pure delle opportunità), tipici dell’Italia, ma in genere dei paesi occidentali.

Li elenco alla rinfusa: globalizzazione, lavoro, automazione, crollo demografico, invecchiamento, stile di vita, povertà, lavoro-ombra, riscaldamento terrestre, inquinamento, immigrazione, integrazione, terrorismo. Ero convinto che molti erano interdipendenti. Provai ad incrociarli con certe assunzioni ideologiche delle nostre classi dominanti.

Prendiamone una che pare molto suggestiva e «virgolettiamola» stante la fonte da cui proviene, il meglio del meglio dell’intellighenzia europea: «E’ iniziato un esodo biblico dall’Africa povera all’Europa ricca: sarà inarrestabile». Ne segue un altro, più sommesso: «La Convenzione di Ginevra sui rifugiati da guerre deve essere estesa anche a coloro che fuggono dalla fame, dai soprusi, che sognano un mondo migliore» (perché non dire tutti?). E ancora: «Grazie alla globalizzazione un miliardo di persone sono uscite dalla povertà». E l’elenco potrebbe continuare.

A mò di esempio cito un aspetto apparentemente marginale, una delle linee guida della strategia 2030 di Wikipedia, appena pubblicata: «Essere sempre più inclusivi e colmare il gender gap». (Tento una traduzione. Come noto la teoria gender, secondo cui le differenze sessuali fra maschio e femmina non sono biologiche ma culturali e si apprendono come una lingua straniera, facilita una serie di evidenti interessi economici e politici, quelli che traggono maggiori ricavi leggi fatturato – da una società più «liquida»). Insomma fake news istituzionali come politica.

Anni fa tentai una sintesi grossolana, inventandomi la denominazione «Ceo capitalism» riferito a questo modello e il termine «Felpe californiane» assegnato a un gruppo di personaggi che declinano il mondo di internet in una serie infinita di App, la cui gestione porta alcuni di noi a percepire come minaccia la tendenza al totalitarismo di costoro e del loro modello, monopolista sia nei presupposti che nella relativa execution.

Di alcuni di questi temi ho provato a declinarli in base a certe scelte paese, per esempio ho provato a collegarne quattro (immigrazione-lavoro-crollo demografico-automazione) con il Giappone. Un paese affascinante, unico: senza risorse naturali (anzi spesso sfregiato da terremoti e tsunami), il solo ad aver subito l’insulto di un bombardamento nucleare, ubicato su un territorio dall’orografia difficile, rapporto debito/Pil superiore a 250. La sua unicità si vede quando scoppiano le crisi mondiali: allora franco svizzero e yen giapponese diventano valute rifugio come e più dell’oro. Perché? Fiducia nei loro modelli politico-economico-sociali, fortemente identitari. Già trent’anni fa, quando lo frequentavo, allora ero presidente di Fiat Hitachi e avevo avuto il privilegio di conoscere il Presidente del Miti (il terzo uomo più potente del paese dopo l’Imperatore e il Premier, essendo «a capo» del ministero del commercio estero e dell’equivalente della nostra Confindustria: il pubblico e il privato fusi nell’esclusivo interesse nazionale), capii che il Giappone aveva scelto di adottare una ricetta identitaria che metteva al centro di tutto il «cittadino lavoratore». E non il «cittadino consumatore» del Ceo capitalism.

Quindi la crescita era garantita da pieno impiego, alta produttività, alte retribuzioni, ma dal rifiuto assoluto di immigrati per tutte le implicazioni socio-economiche che ciò poteva avere.

In questi trent’anni hanno perseguito una rigorosa politica identitaria, pur sapendo che, causa la loro atavica longevità (primi al mondo) e il crollo demografico (si ipotizza che a questi ritmi nel 2060 torneranno ad essere 100 milioni rispetto ai 130 attuali), avrebbero dovuto sostituire la forza lavoro mancante o con immigrati o con i robot («In Giappone le aziende assumono i robot», titolano stupefatti i nostri giornali).

Con questa scelta, condivisa dai sindacati, l’automazione ha cessato di essere una minaccia, diventando un’opportunità. Se questa è la scelta condivisa dalla maggioranza del popolo giapponese, per definizione è giusto così. Mi piacerebbe che anche noi avessimo l’opportunità di scegliere e non subire le seghe mentali di élite intellettualmente rarefatte che, almeno finora, non ne hanno mai imbroccata una.

Riccardo Ruggeri, Il Giornale 15 ottobre 2017

Iscrivi al canale whatsapp di nicolaporro.it
la grande bugia verde

SEDUTE SATIRICHE