di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
In Francia si è votato per il primo turno delle presidenziali. Lo scrutinio ha confermato il presidente Macron in testa con il 27,6%, seconda Marine Le Pen con il 23,4%. Poco più di un milione e quattrocentomila voti di distacco. Solo un mese fa il presidente uscente era dato nei sondaggi oltre il 30%. Terzo Jean-Luc Mélenchon col 22%, con un risultato notevole.
I risultati di 5 anni fa
A primo impatto la situazione appare identica a quella di cinque anni fa, quando al ballottaggio finirono sempre Macron e Le Pen, con una schiacciante vittoria di Macron al secondo turno col 66,1% contro il 33,9% di Le Pen. Al primo turno di cinque anni fa Mélenchon arrivò quarto con il 19,58%. Ma stavolta, comparando i risultati complessivi del primo turno con quelli del 2017, la situazione è diversa. Vediamo perché.
Nel 2017 Marine Le Pen si presentò con il Front National ed ottenne il 21,3%, Macron il 24,01% con il suo partito personale En Marche. Terzo l’allora leader dei repubblicani François Fillon con il 20,01%. Quarto Mélenchon di mezzo punto in meno. Il partito socialista del presidente uscente Hollande, che non si ricandidò, si fermò al 6,36%. Al ballottaggio repubblicani e socialisti votarono in massa per Macron.
Cala Macron, sale la destra
Stavolta il quadro è completamente mutato. Marine Le Pen ha messo in soffitta il Front National del padre e si è presentata con Rassemblement National, una compagine più moderata che ha causato una frattura politica interna determinando la nascita del partito di estrema destra Reconquête, con a capo il giornalista del quotidiano “Le Figaro” Éric Zemmour, che al primo turno di ieri ha ottenuto il 7,1%. In buona sostanza, la destra passa dal 21,3% del 2017 al 30,5% di ieri, infatti Zemmour ha già annunciato che i suoi voti andranno al secondo turno a Le Pen. A differenza del 2017, sono praticamente scomparsi sia il partito repubblicano che quello socialista. La leader dei repubblicani, Valérie Pécresse, si è fermata ieri al 4,8%, mentre i socialisti – guidati dal sindaca di Parigi Anne Hidalgo – hanno ottenuto un misero 1,7%.
Prendiamo la calcolatrice. Nel 2017 repubblicani e socialisti ottennero complessivamente al primo turno il 26,37%, voti confluiti in massa al secondo turno a sostegno di Macron, mentre questa volta si fermano (sempre complessivamente) al 6,5%, voti che comunque andranno tutti a Macron tra due settimane. Ma il dato politico saliente è quello che il presidente uscente – rispetto al 2017 – perde un bacino di voti (certo) del 19,87%. Dove sono finiti questi voti di repubblicani e socialisti? In parte sono già andati a Macron (3,6%), il 6,2% li ha intercettati invece la destra (Le Pen e Zemmour) mentre il 2,5% è andato a Mélenchon. Il resto nell’astensione o in parte disperso tra gli altri candidati minori.
La matematica non è un’opinione. Al secondo turno, nel 2017, Le Pen partiva da una base del 21,3% (cioè solo dai suoi voti ottenuti al primo turno), mentre Macron dal 50,38% (i suoi voti più quelli di repubblicani e socialisti). Questa volta Le Pen parte da una base sicura del 30,5% (i suoi voti più quelli di Zemmour), Macron dal 34,1% (i suoi voti più quelli di repubblicani e socialisti). Il presidente uscente ha dunque un bacino di voti del 16,28% in meno rispetto al 2017. Se consideriamo che Macron vinse cinque anni fa al secondo turno col 66,1%, questa volta – a bocce ferme – non dovrebbe andare oltre il 49,82%, perdendo le elezioni per un soffio.
L’ago della bilancia
L’ago della bilancia, che sulla carta potrebbe risultare decisivo per la vittoria di Macron, è rappresentato questa volta dall’elettorato di La France Insoumise. Se consideriamo che la “pancia” dell’elettorato di Mélenchon è composto da operai e gilet-gialli, una parte di questi voti andranno al secondo turno a Le Pen come voto di protesta nei confronti del presidente uscente, ma occorre vedere quanto sia ancora radicata nell’elettorato di sinistra la “pregiudiziale anti-fascista”. Non a caso ieri sera Mélenchon ha dichiarato che “neanche uno dei nostri voti dovrà andare a Le Pen”, ma è altrettanto vero che non ha dato alcuna indicazione di votare per Macron.
Questo significa nella sostanza che l’elettorato di La France Insoumise sarà lasciato libero di fare al ballottaggio ciò che vuole, soprattutto di astenersi. A Marine Le Pen, per vincere, basteranno convincere solo il 5-6% in più dell’elettorato di Mélenchon (in più rispetto al 2017) a votare per lei, sperando che gran parte dell’elettorato ex socialista che oggi vota La France Insoumise non vada a votare. A quel punto la leader di Rassemblement National potrebbe vincere le presidenziali per una manciata di voti, aiutata da un maggiore astensionismo che di solito si verifica nei turni di ballottaggio. Bisogna vedere tuttavia – il punto è decisivo – in che misura la solita retorica antifascista farà presa sull’elettorato di sinistra.
Il nodo astensione
Nelle prossime due settimane Macron tenterà in tutti i modi di convincere a votare per lui quella parte di elettorato moderato (repubblicani e socialisti) che non si è recato alle urne al primo turno. Se ci riuscisse, il presidente uscente vincerebbe le elezioni con un distacco di pochi punti percentuali. Certo è però che Le Pen non resterà a guardare, e dal canto suo cercherà di fare breccia nell’elettorato “arrabbiato” con Macron che al primo turno ha votato per Mélenchon. Le proteste dei gilet-gialli sono finite da tempo, la rabbia no. Le misure restrittive adottate durante la pandemia, con conseguente crisi economica, hanno affievolito l’appeal politico di Macron, indebolito in casa anche dai timori derivanti dalla posizione governativa sulla guerra Russia-Ucraina. Les jeux sont faits? Tutt’altro, la partita è aperta. In ogni caso, chi ha dato per morto il “sovranismo” deve ricredersi e se al ballottaggio vincesse Le Pen per il sovranismo si aprirebbero nuove possibilità anche in Italia.