Va bene che l’ipocrisia è la sostanza del dibattito politico italiano, ma questa è eccessiva. Provo a focalizzare ogni parola mentre scrivo: la sinistra italiana accusa un avversario di aver ricevuto soldi da Mosca. La sinistra italiana. Quella erede diretta del Partito Comunista, a cui l’attuale segretario del Pd Nicola Zingaretti non a caso era iscritto. Accusa un avversario di aver ricevuto soldi da Mosca. Ovvero quella capitale da cui fluirono ininterrottamente finanziamenti occulti durante tutta la Guerra Fredda verso le casse della suddetta sinistra italiana. Quasi mille miliardi di vecchie lire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, li stimò Valeria Riva nel suo “Oro da Mosca” (1999). Anche la versione che i compagni hanno amato raccontare al mondo per lustri, cioè che l’elargizione sovietica fosse cessata all’inizio degli anni Ottanta per volere di Berlinguer, è ormai stata confutata fattualmete (tra gli altri, da Ugo Finetti nel suo “Botteghe Oscure. Il Pci di Berlinguer & Napolitano”, 2016).
Nessuno ha intimato ai dirigenti comunisti e post-comunisti di “chiarire immediatamente” l’esistenza e l’utilizzo di questa valanga di denaro, come fa oggi con titanico sprezzo del ridicolo Zingaretti di fronte all’ipotesi di un sostegno russo alla campagna elettorale della Lega (mentre il finanziamento a tutte le campagne del Pci dal 1948 al suo scioglimento è verità certificata). Nemmeno durante la sbornia manettara di Tangentopoli, quando l’unico partito a salvarsi fu proprio l’unico che riceveva quattrini da una potenza straniera e nemica, il Pci.