Solidarietà umana verso Carlo Calenda, disoccupato eccellente, che ha passato la domenica a tweettare come un annoiato pariolino che non è potuto andare a Fregene nella prima giornata estiva. Ma il suo stato d’animo è comprensibile.
Negli ultimi tre mesi ha sperato di fare nell’ordine: il segretario del PD, il nuovo leader del centrodestra, il Presidente del Consiglio e il capo di un fantomatico movimento che si ispira ai valori repubblicani. Forse, riducendo la sua frenetica attività sui social, potrebbe approfittare di questa pausa per qualche salutare passeggiata a Villa Borghese, a pochi passi dal Ministero dello Sviluppo economico da dove è stato sfrattato con l’arrivo del ciclone Di Maio. Speriamo per lui che nessuno gli abbia riferito la ‘ola’ di gioia dei collaboratori, stanchi delle continue scenate, alla notizia della sua defenestrazione.
Per mesi ha gestito il nulla, con invece centinaia di tavoli di crisi aperti. La strategia energetica nazionale è rimasta solo nelle intenzioni. Sul fronte liberalizzazioni, a parte la Legge Concorrenza ereditata dalla Ministra Guidi, silenzio. In Industria 4.0 c’è un costoso piano incentivi ma è mancata la volontà di investire per favorire progetti di trasformazione industriale centrati sul capitale umano. La misura principale dal punto di vista delle risorse, cioè il superammortamento, era stata introdotta l’anno precedente e lui l’ha solo prorogata. Il Fondo anti-delocalizzazione di Embraco ancora non si sa come funzioni, mentre la norma sul golden power serve solo a rendere meno liquida la Borsa italiana e ad allontanare ulteriormente investimenti esteri.
Del resto, Calenda non fa mistero della sua vaghezza, come il napoletano Giovanni Punzo, che lo ebbe all’Interporto e lo dovette liquidare a peso d’oro, ben sa. A lui si addice perfettamente il famoso editto andreottiano “la gratitudine è il sentimento della vigilia”.
Lo sa bene anche Luca di Montezemolo, del quale era un famiglio e che per anni se l’è portato dietro dalla Confindustria alla Ferrari. Ma evidentemente il rancore è difficile da superare. Da ministro lo rimbrottò pubblicamente di gestire male l’Alitalia e alla sua prima assemblea generale della Confindustria, gonfiandosi il petto, non si trattenne dal dire candidamente di essere «contento non solo di essere qui, ma anche di pronunciare un discorso», perché “per un certo numero di anni ho scritto discorsi che non ho mai pronunciato”. In effetti li scriveva per Montezemolo.
Ma lo sa bene anche Matteo Renzi che, con la consueta ‘lungimiranza’, lo valorizzò e lo volle addirittura ambasciatore a Bruxelles, tra i risolini indispettiti di mezza Farnesina che infatti brigò affinché quella infelice intuizione durasse il meno possibile.
A tornare nel cono d’ombra non ce la fa proprio: finita l’orgia di tweet contro Il Tempo, Osho e me, tornerà a ragionare in grande. E, visto che Bergoglio gode di buona salute, pensa già a succedere a Virginia Raggi come sindaco di Roma. Ma forse ha ragione l’anonimo twittarolo che gli scrive “Carlè, riposate”.
Luigi Bisignani, Il Tempo 4 giugno 2018