Interviste

“Solo ideologia nella polemica sui contratti dei riders”

Interviste

È uno dei pochi mestieri che con il lockdown ha avuto una crescita esponenziale. Basta vedere le nostre città deserte, con le biciclette dei moderni fattorini (i riders) che consegnano pietanze più o meno espresse. La notizia è che ora hanno un contratto nazionale collettivo, che è stato firmato dai datori di lavori e solo da un sindacato, la Ugl. Non è una notizia che la triplice è ritornata triplice e che il ministro del Lavoro, anche se grillino, sembra uscito da una sede della Cgil.

Gabriele Fava, avvocato, giuslavorista, è l’anima di questo contratto ed è l’avvocato incaricato da Assodelivery (Glovo, Deliveroo, Uber Eats, Social Food ne fanno parte, e da poco è uscita Just Eat).

Partiamo dai numeri di questo settore.

«Secondo i dati del Politecnico di Milano nel 2018 l’online food delivery che integra il servizio di consegna ha generato 350 milioni di business per il settore della ristorazione, crescendo del 69% rispetto al 2017. Per il 2019 abbiamo assistito alla crescita a 590 milioni. Anche nel 2020 il mercato è in decisa crescita. I dipendenti diretti delle piattaforme di Assodelivery sono 400».

Il resto sono i cosiddetti riders.

«Sì, sono circa 30.000 che servono 15 mila ristoranti e generano un’occupazione indiretta di altri 5 mila addetti».

Ha fatto molto scalpore che il Contratto Collettivo (Ccnl) dei riders sia stato sottoscritto solo dall’Ugl, sigla storicamente di destra. C’è chi grida al sindacato connivente o definisce il contratto un grande inganno.

«Ritengo che Ugl venga attaccato principalmente perché è tra i primi ad aver avuto il coraggio di sedersi al tavolo e negoziare un Culi del lavoro autonomo, mentre politicamente si sa che le segreterie della triplice hanno al proposito un’idea molto chiara: sostenere sempre e comunque la subordinazione. Ugl ha, quindi, fatto un passo storico verso un’idea di sindacato che, invece di tutelare solo ed unicamente il lavoro subordinato, tutela il lavoro in tutte le sue forme».

Ma quello dei riders non è in effetti un lavoro subordinato?

«Per niente, la gran parte lavora su più piattaforme. Gestisce i tempi e i giorni liberamente. Insistere sul lavoro subordinato è una bandiera ideologica. Sono i riders che decidono se e quando lavorare».

In cambio hanno meno tutele sindacali, si dice.

«È falso anche questo. Abbiamo introdotto, solo per dirne alcune, l’assicurazione per danni contro cose e terzi sugli infortuni, mezzi di protezione, tutele dal caporalato, lotta alla precarietà e diritti sindacali diffusi».

E sui temi retributivi?

«Il compenso minimo di 10 euro l’ora che abbiamo stabilito è superiore al minimo del contratto della logistica che avrebbero voluto applicare i sindacati della triplice».

Perché c’è voluto tanto a fare un contratto?

«L’impasse che si era venuta a formare era dovuta da una parte alla posizione del ministero che aveva chiaramente inteso responsabilizzare le parti sociali nella sottoscrizione di un Ccnl, dall’altra dall’atteggiamento della triplice, arroccata sulla propria posizione pro subordinazione. In assenza del Ccnl firmato da Assodelivery e Ugl, tuttavia, si sarebbe verificato un effetto assolutamente deleterio per tutti, anche per la triplice. Il rapporto sarebbe stato di fatto regolato dal Ccnl della logistica e questo avrebbe comportato la definitiva chiusura dei business delle piattaforme e la fine dei rapporti di collaborazione con i riders. In altre parole, lo stallo causato anche per responsabilità della triplice, avrebbe finito per danneggiare in primis proprio i riders italiani, che si sarebbero trovati in poco tempo senza più la possibilità di avere una fonte di guadagno da tale attività».

Non ritiene che si approcci la tematica dei riders con eccessiva retorica? Alcuni parlano addirittura di schiavitù legalizzata.

«Abbiamo visto sindacalisti di varia natura accomunare la figura del riders a quello di uno schiavo semplicemente perché, secondo tali signori, l’assenza di subordinazione equivale a schiavitù. Tale atteggiamento, del tutto criticabile, mi pare anche antistorico, dato che è normale che molti nuovi lavori e nuovi mestieri non siano chiaramente né subordinati né autonomi, ma una sorta di via di mezzo».

Nicola Porro, Il Giornale 21 novembre 2020