Politica

La guerra in Ucraina

Sono “compagni” ma “putiniani”. E la sinistra impazzisce

Berlinguer, Santoro, Caracciolo: faida della sinistra sugli “intellettuali” di casa sua

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Un tempo sarebbe stato tutto più semplice: la sinistra si sarebbe schierata con la Russia e avrebbe lanciato i suoi strali sull’America imperialista e la Nato guerrafondaia. E l’aggressione ad un popolo sovrano sarebbe stata definita “guerra di liberazione”, e poco importa se i “liberati” non desiderassero esserlo e preferissero stare con gli yankee. L’“aristocrazia rossa”, cioè quegli intellettuali borghesi che dettavano la linea (anche i dirigenti di partito erano per lo più intellettuali), l’“avanguardia del proletariato” teorizzata e messa in pratica da Lenin, non aveva dubbi: l’ideologia non permetteva sfumature.

Oggi che però la lotta di classe è diventata quella per gli interessi della propria classe, borghese e “riflessiva”, e si è spostata “dai campi e dalle officine” (come recitava una nota canzone) direttamente al sofà di casa (rigorosamente in zona ZTL), la sinistra si è imposta di essere occidentalista e americanista. Ha preteso di farlo come al solito senza sfumature, facendosi più realista del re, sempre con l’dea di di rappresentare il Bene (in nome di una presunta “superiorità morale”) e con la propensione istintiva a togliere la parola a chi solo un po’ dissente dalla linea ufficiale stabilita dai vertici.

Senonché la storia non si può cancellare con un tratto di penna: le vecchie pulsioni sono forti, la mentalità è sempre più o meno la stessa, e quello che un tempo era chiamato “centralismo democratico” oggi appare anche all’interno nella sua vera sostanza, che è l’ipocrisia. Il rimosso viene così a galla e rovina la festa.

Succede quindi che, come inatteso “effetto collaterale” della putiniana “operazione speciale” di Ucraina, alla chiamata in correità di Enrico Letta, la sinistra intellettuale (o paraintellettuale) prima ha fatto finta di aderire compatta e poi si è spaccata ed ha iniziato a farsi guerra da sola, in casa propria. Non una battaglia delle idee, che dovrebbe essere sempre la benvenuta per un liberale, ma proprio una guerra fatta di anatemi, linciaggi mediatici, invocazioni alla epurazione dei reprobi, e via dicendo.

Nella migliore tradizione comunista, ci si è come dimenticati degli avversari e ci si è concentrati sui “traditori”, su quelli che un tempo erano additati come “socialfascisti”. Ecco allora che Bianca Berlinguer, figlia dell’idolo del comunismo italiano par excellence, già direttrice del telegiornale Rai più partigiano, viene sconfessata dai vertici della sua azienda (sempre e solo rigorosamente di area Pd) per ostinarsi a invitare Alessandro Orsini nella sua trasmissione. “Il Foglio” riesce persino a scovare lo zio ultranovantenne della giornalista carpendogli delle generiche affermazioni (sulla “logica dei media” e sulla responsabilità di portare un cognome simbolo di austerità e sobrietà) che vengono “vendute” come sconfessione familiare. E che dire di Michele Santoro, il “tribuno del popolo” un tempo osannato dalla sinistra perché sollevava le masse televisive contro Silvio Berlusconi e che ora di colpo è stato messo ai margini dai suoi compagni?

C’è stato poi Gianni Riotta che ha annoverato persino il pacifico e sempre molto british Lucio Caracciolo fra i “putiniani” d’Italia, generando sui social una ostilità per una rivista di geopolitica come “Limes” che pure nasce da una costola di quella “MicroMega” che era la più schierata delle riviste italiane. Anche Donatella Di Cesare, che, oltre ad essere un’eccellente filosofa è una tanto faziosa quanto onesta intellettualmente anarco – comunista d’antan, è stata praticamente messa in un angolo dai giornali del gruppo “Repubblica” sulle cui pagine pure imperversava.

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