Che questo improbabile mondiale in Qatar ci avrebbe regalato orrende soddisfazioni l’avevamo scritto, e sempre più si corrobora la sensazione che qui lo sport sia l’ultimo dei pretesti. Di soldi quanti se ne vuole, ce n’è per tutti, di problemi anche di più e il primo è la questione omosessuale, in questo caso più che fondata perché questione di vita o di morte, e non, come da noi, gossippaggio usato, sfruttato per bieche logiche politiche o, ma in fondo è lo stesso, per la vanità arrivista di chi la cavalca.
Troppi gli aspetti scabrosi, troppi i margini di perplessità circa la partecipazione a un torneo nell’astrazione di un paese, fortemente confessionale, il cui ambasciatore, Khalid Salman, considera l’omosessualità “un disturbo mentale” e invita chi ne fosse afflitto a non uscire di casa, a non farsi trovare, e l’invito è inquietante, perché la prospettiva opposta porta alla galera e alla soppressione. Ma in Qatar ci sono andati tutti, binari, non binari, scambi, snodi e chi non c’è andato, citofonare Italia, molto se ne dispiace. Allora che si fa?
Eh, che si fa: si fa che qui i soldi scorrono a pioggia, dorata pioggia e ce n’è per tutti, come le inchieste degli ultimi dieci anni hanno dimostrato. E che facciamo? Ci rinunciamo? Non sia mai. Allora la si butta sul patetico, ma delle sottospecie indecente perché senza nessuna pretesa di fondatezza e quindi di rispetto: si dice qualcosa, qualsiasi cosa, anche la più vergognosa, tanto per riempire l’aria. Tanto per rispondere.
Il boss della Fifa, Gianni Infantino, degno successore di Blatter che agli omo in Qatar diceva “Se ci siete, astenetevi dallo scopare”, si produce in una allucinante perorazione che sembra più una perforazione, della logica, della dignità: “Ah, da piccolo mi bullizzavano, oggi mi sento gay, mi sento qatarino, arabo, disabile, migrante”. Ma davvero, il nostro Qaterina. Lui si sente. Si percepisce, così può uscire da quelle pelli e indossarne altre alla bisogna. Si chiama opportunismo etico in salsa razzista, perché paragonare un arabo a un disabile, per dire, è già un bel tackle a cazzata tesa. Si chiama indecenza. Specie se la si butta nella vacca di un autodafà che ormai ha polverizzato le balle pure di Bernardo Guy: siccome Amnesty s’è accorta dei 6500 cadaveri, stima per difetto, lasciati nel cemento degli impianti per i Mondiali, senza dire dei sopravvissuti a turni di 18 ore e neanche l’ombra di una garanzia di sicurezza, di igiene o di salute (sempre Amnestery International a puntare il dito), Gianni Infantile, quello che si sente gay e un sacco d’altre cose, riesce in un’uscita più spericolata del Blasco: solo ipocrisia, tutta ipocrisia, per dire fatevi i cazzi vostri, europei che dovete scontare tremila anni di malefatte.
Oh Gesù santo. Un qualunquismo insostenibile dove non può mancare una ignoranza da virologo, una logica da influencer: cosa c’entrino i millenni di prevaricazione europea con i sei, settemila morti di lavoro in Qatar, non potrebbe spiegarlo neanche il Padreterno, di qualsiasi confessione; in compenso il nostro Giannino non sa che a originare la tratta degli schiavi, neri, africani, furono proprio gli arabi. Se poi lui ritiene di aver roba da espiare per i prossimi tremila anni, si accomodi: avrà le sue buone ragioni. Lui, però. Noi, no.
Chi invece di sentirsi come Infantino, e cioè gay, lo è sul serio, è il capufficio pacchi, no, scusate, Fifa, lo scozzese Bryan Swanson, che corre in soccorso del capo in modo ancor più inverecondo: sono gay, recita, in un coming out peraltro superfluo, e sono qui come privilegiato, come uomo sessuale (direbbe Checco Zalone). Infatti: Swanson, che non è Gloria, omette un dettaglio, che, dopo, lui torna a casa, Bryan. In Europa, dove i gay non li macellano ma ormai li esaltano in quanto tali, li impongono ovunque a mezzo potentissima lobby (e chi dice il contrario, mente per la gola e non solo quella).
Il punto è che, finché sta in Qatar, a godersi partite, festicciole, cazzi & mazzi, nessuno lo tocca, almeno non in modo brusco, mentre quelli autoctoni restano invitati a non farsi vedere, per il bene loro. ‘Sti malati di mente. ‘Sti froci. ‘Ste lesbicacce zozze’. Il problema è che a te nessuno ti insulta, ti disumanizza così, ah Swanson: ma la vuoi fare finita? Il tuo non è outing e non è solidarietà: è cinismo da privilegiati, e fa schifo. Fossi un gay qatarino, sputerei sulle tue parole, sulla tua faccia da privilegiato, su quel tuo “voler continuare a credere che non verrà fatto niente di male agli omosessuali per tutto il torneo”. Eh, già. E prima e dopo? Così si fa presto, se questi sono i vertici pallonari, si capiscono tante cose.
“Siamo un’organizzazione inclusiva, noi”, dicono Infantile e il portaparola. Pensa se non lo erano. Una Fifa che accetta le discriminazione perché c’è di peggio, signora mia (l’Iran, però, nelle percezioni di Gianni, risulta non pervenuta); che manda giù l’acqua pisciarella al posto della birra, bevanda da infedeli, “perché tanto per qualche ora non muore nessuno”; che fa a meno dello jambon, il prosciuttone spagnolo, perché idem, che sarà mai.
Frasi senza senso, senza dignità, senza verità. Benaltrismo o peraltrismo pseudostorico di quello che piace alla sinistra miserabile: il compagno qualunquista non può realisticamente ammettere che dei tanto sbandierati gender non gliene frega niente, che un Mondiale val bene una messa in quel posto, che le partite del pallone gli servono a riempire almeno un mese di una vita sottovuoto spinto. E allora si rifugia nel grottesco rispetto delle culture altrui, nella criminalizzazione dell’occidente – e se tu non vuoi partecipare alla festa televisiva, peggio per te. Una tolleranza a mille, una tantum, ma guasta come un’arancia marcia, se si considera che il compagno archetipico non è disposto a tollerare neppure libere elezioni, se non gli convengono.
Che spettacolo di fermezza, di attaccamento ai Valori! Quasi quasi era meglio Lloris, portiere e capitano dei Galletti, che una volta in Qatar ha abbassato la cresta e degli “anormali” per i quali in Europa si inginocchia fino a consuzione delle rotule, adesso dice: je m’en fout, e la fascia arcobaleno non la infilo. Lui “non si sente” altro che un pedatore milionario che lega l’asino del conformismo woke dove vuole il padrone: e il padrone può essere, per dire, un emiro qatarino proprietario di un fondo di investimento che controlla la prima squadra francese, amico del Gallettino all’Eliso. Insomma, il Lloris di turno in Europa s’inginocchia, in Qarar l’infinocchia.
Oggi si apre il Mondiale più evitabile di sempre. Debbono ancora partire, e già fa pena. E, bisogna dirlo, non solo per colpa di chi lo ospita.
Max Del Papa, 20 novembre 2022