Che Giuseppe Conte sia famelico di scranni, lo sapevamo. Che disperazione lo colga, al pensiero della (remota) ipotesi di uscire da Palazzo Chigi, lo possiamo immaginare. Ma che, pur di rimanerci, avesse la faccia di proporsi non solo alla guida di un esecutivo politico, ma pure come presidente del Consiglio di un governo di “salvezza nazionale”, forse è troppo persino per un professionista del cambio di casacca come lui.
L’ha scritto ieri su Facebook, il presidente del Consiglio uscente: “Le mie dimissioni sono al servizio di questa possibilità: la formazione di un nuovo governo che offra una prospettiva di salvezza nazionale”. Quindi, l’occhiolino ai forzisti: “Serve un’alleanza, nelle forme in cui si potrà diversamente realizzare, di chiara lealtà europeista”. E la riapertura a Matteo Renzi, con il proporzionale e la “sfiducia costruttiva”, che per il leader di Iv sono la premessa alla cancellazione del bicameralismo perfetto. Un programma che al Conte bis manca dal suo insediamento, ma che, alle battute finali, è stato improvvisato in poche righe sui social network, al solo scopo di circuire possibili soccorritori. L’esca è palese: tutti dentro, meno i sovranisti di Lega e Fratelli d’Italia.
Scalzare la Cartabia
Ma la circostanza più squallida è che, con quest’ultima, estrema mossa, l’avvocato del popolo si candida a svolgere il ruolo che il capo dello Stato affiderebbe piuttosto a figure terze – terze almeno sulla carta – come Marta Cartabia. Insomma, pur di non sparire, nel momento in cui sente che l’operazione «costruttori» stenta a decollare, pur di non servire a Sergio Mattarella un assist per conferire l’incarico a un qualche concorrente, il professore pugliese getta il cuore oltre l’ostacolo: volete un governissimo? Va bene, purché il presidente del Consiglio lo facciate fare a me. Così, la parabola trasformista sarebbe completa: da notaio della fragile intesa tra Carroccio e grillini, a premier di centrosinistra, ispirato dal «cattolicesimo democratico», a garante dell’arco costituzionale, come fosse un tecnico puro.
Giuseppi blindato dalla paura
Non che Conte rischi veramente lo sfratto. Nei prossimi tre giorni assisteremo a un serratissimo mercimonio, al termine del quale, con ogni probabilità, i giallorossi racimoleranno qualche voto per tirare avanti il carrozzone. In fondo, un esecutivo da rifare ex novo significa che i ministeri e i sottosegretariati in palio si moltiplicano. E soprattutto, gli onorevoli non ne vogliono sapere di mollare la poltrona: perderebbero oltre 350mila euro e non avrebbero la certezza di essere ricandidati. Come molto spesso capita nelle vicende umane, sarà la paura a dettare le scelte dei protagonisti di questa pantomima.
La paura di finire per strada dei parlamentari; la paura di essere rottamato, per singolare nemesi storica, di Renzi; la paura di implodere e tornare nell’oblio dei 5 stelle; la paura di rinunciare al potere del Pd, ormai partito pigliatutto, che come terapia intensiva usa la permanenza al governo; la paura che la destra vinca le elezioni, che spiega l’operato di Mattarella.
Giuseppi, intanto, si congeda con una frase emblematica: “Quanto a me, mi ritroverete sempre”. Già: l’avevamo capito…
Alessandro Rico, 27 gennaio 2021