Era una settimana fa, quando il Sole 24 Ore pubblicava un articolo in cui si affermava che, nel Regno Unito post-Brexit, chiudevano più di due pub al giorno. Nel 2022, infatti, le serrande abbassate sono state 386, un numero molto simile a quello dei primi sei mesi di quest’anno (383). Da qui, è ripartito il solito ritornello contro il voto del 2016 ed i relativi danni economici che la Gran Bretagna sta soffrendo, dopo la decisione di uscire dall’Unione Europea.
I frutti della Brexit
Addirittura, sempre secondo il Sole 24 Ore, a questo ritmo i pub saranno destinati a sparire nel giro di 25 anni. Una previsione catastrofica, che però rende meno allarmante il tragico scenario se analizziamo gli ultimi dati riportati da Reuters. Riprendendo il caso di Chairs, che impiega Eaton, Chapman e Hughes-Davies tra 8.000 dipendenti in ristoranti e bar in tutta la Gran Bretagna, Reuters dimostra chiaramente come le condizioni dei lavoratori siano migliorate grazie alla Brexit.
“Le conversazioni con 18 capi aziendali, responsabili delle risorse umane, un sindacato, economisti, gruppi di reclutamento e lavoratori suggeriscono che i grandi datori di lavoro nel settore dell’ospitalità, della vendita al dettaglio, della logistica e della sicurezza offrono tutti maggiore flessibilità durante le ore di lavoro, un migliore supporto finanziario per il congedo per malattia o l’assistenza sanitaria privata e altri vantaggi”, riporta Reuters, ricordando come nel Regno Unito pre-Brexit si poteva arrivare anche ad estenuanti 14 ore di turno lavorativo.
Aumento dei salari
Uno degli elementi più importanti in questa trasformazione è stato l’aumento salariale: “La retribuzione regolare, esclusi i bonus, è stata superiore del 7,8% nei tre mesi fino a luglio rispetto all’anno precedente”. E ancora: “Con poco meno di 1 milione di posti di lavoro vacanti ancora aperti, è stato uno dei fattori alla base del tasso di inflazione ostinatamente alto della Gran Bretagna. Ha raggiunto l’11,1% in ottobre prima di scendere al 6,7% ad agosto, ancora uno dei più alti di qualsiasi grande economia”. Il tutto ha portato i datori di lavoro ad aumentare gli stipendi e persino a rincorrere a controfferte per impedire al personale di andare altrove.
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Insomma, come ribadito anche da Chairs, i costi salariali sono sicuramente aumentati – visto l’aumento del tasso inflattivo – ma ciò si è accompagnato ad un costante incremento dei profitti e della fedeltà del personale. Nella sede “Alcampo Lounge” a Brighton, per esempio, il personale può ottenere un pasto gratuito per turno, orari flessibili, bonus e straordinari.
Lampante è poi il dato dei disoccupati. Nell’ultimo anno, infatti, “il numero di persone in età lavorativa che affermano di non essere occupate perché si occupano della famiglia o della casa è diminuito di 167mila, un calo del 10%”. Una situazione di generale sollevamento delle aziende britanniche, certificata anche dall’interpellato gruppo di sicurezza e outsourcing G4S, la cui numero uno Fiona Walters ha rivendicato la scelta di consentire al personale di lavorare su turni più brevi o su turni divisi, che ha visto sì aumentare il costo della gestione della forza lavoro, ma allo stesso tempo ha contribuito a reclutare più donne, insieme ad un calo del tasso di abbandono del personale. Insomma, uno scenario tutt’altro che catastrofico. E a 7 anni della Brexit, si attende ancora il collasso britannico.
Matteo Milanesi, 4 ottobre 2023