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Sospensione dei mutui, ecco a chi spetta

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La moratoria fino al 30 settembre 2020 del rientro dalle esposizioni debitorie nei confronti di banche e intermediari finanziari, prevista dall’art. 56 del DL 18/2020, riguarda tutte le imprese aventi sede in Italia che occupano fino a 250 lavoratori e, inoltre, che hanno un totale di Stato patrimoniale inferiore a 50 milioni di euro e/o un fatturato inferiore a 43 milioni di euro.

Si tratta nella sostanza del 99,9% delle imprese italiane.

La moratoria riguarda:

1. la revocabilità delle linee di credito accordate appunto “sino a revoca” e dei finanziamenti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o, se superiori, alla data del 17 marzo 2020;

2. la restituzione dei prestiti non rateali con scadenza anteriore al 30 settembre;

3. il pagamento delle rate di prestiti con scadenza anteriore al 30 settembre, con facoltà per le imprese di chiedere la sospensione solo per la quota capitale delle rate e non anche per quella interessi.

Per quanto riguarda le linee di credito “sino a revoca” e gli anticipi su crediti, la norma precisa che la moratoria vale sia per la parte utilizzata che per quella non ancora utilizzata.

La Relazione Tecnica al DL 18/2020 stima in 97 miliardi le linee di credito accordate “sino a revoca” (di cui 66 miliardi utilizzati e 31 ancora da utilizzare) e in 60 miliardi gli anticipi su crediti accordati (di cui 35 utilizzati e 25 ancora da utilizzare).

Ammonterebbero invece a 29 miliardi i prestiti a breve non rateali e a 33 miliardi i finanziamenti a medio-lungo termine con piani di restituzione rateale, tra cui mutui e leasing.

Se, ragionevolmente, si assume una scadenza ante 30 settembre 2020 per larga parte dei prestiti a breve non rateali  e una scadenza invece successiva per l’ammontare prevalente delle rate di restituzione dei finanziamenti a medio-lungo, si può dunque stimare in prima approssimazione in circa 190 miliardi di euro l’entità complessiva delle esposizioni debitorie delle PMI verso il sistema creditizio che viene messa “in freezer” fino al 30 settembre 2020, di cui 56 miliardi ancora da utilizzare e quindi rappresentativi di liquidità aggiuntiva.

In realtà, da questi numeri vanno sottratte le esposizioni debitorie che, alla data del 17 marzo, risultano già classificate come esposizioni creditizie deteriorate, ai sensi della disciplina applicabile agli intermediari creditizi.

L’art. 57 del DL 18/2020 esclude infatti dalla moratoria le esposizioni debitorie “già” deteriorate, in coerenza al fatto che la norma mira a cristallizzare solo esposizioni debitorie sane che potrebbero deteriorarsi per effetto della crisi economica derivante da quella sanitaria e non anche quelle che già arrancavano a prescindere.

Per avvalersi della moratoria, è sufficiente che l’impresa comunichi tale intenzione alla banca, corredandola con una dichiarazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 47 del DPR 445/2000, con la quale l’impresa autocertifica di “aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19”.

A fronte di ciò, le banche e gli altri intermediari finanziari sono privati della possibilità di valutare autonomamente, in base alla situazione economico-finanziaria del debitore, se acconsentire o meno alla richiesta.

Sul punto, per altro, la Relazione illustrativa al DL 18/2020 afferma che la moratoria “non determina un automatico cambiamento della classificazione per qualità creditizia delle esposizioni oggetto delle operazioni di moratoria, salvo che non sussistano elementi oggettivi nuovi che inducano gli intermediari a rivedere il giudizio sulla qualità creditizia del debitore durante il periodo di moratoria” e che, nel periodo di moratoria, “gli intermediari devono fermare il computo dei giorni di persistenza dell’eventuale scaduto e/o sconfinamento”.

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