Spano&co: è tutta colpa di Giuli

Il caso politico, le liti in FdI, le dimissioni del capo di gabinetto in vista della puntata di Report. Tutto vero, ma la sostanza è un’altra

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Giuli-Spano

Lasciate stare l’omofobia. E pure il conflitto di interessi. Forse non ha nemmeno senso affondare il colpo su Francesco Spano, il capo di Gabinetto del Ministero della Cultura meno longevo che la storia ricordi. Se c’è un colpevole di questo brutto pasticciaccio targato Mic questo risponde al nome di Alessandro Giuli.

C’è poco da prendersela con Report, che fa il suo mestiere nel modo in cui l’ha sempre fatto, inclusi i poco eleganti “pizzini” pre-puntata. Inutile accusare la “mostrificazione” di chissà quali caverne. C’è poco da scomodare la consulenza del marito di Spano al Maxxi, che magari potrà apparire fuori luogo, ma non è nulla di scandaloso, visto che Marco Carnabuci era stato chiamato al Museo da Giovanna Melandri e si era visto rinnovare la consulenza anno dopo anno, anche quando l’attuale compagno non lavorava lì. Appare superfluo anche indagare troppo sulle voci di faide interne a FdI per via della “cacciata” dell’ex capo di gabinetto Francesco Gilioli, sulle indiscrezioni sulla poca stima reciproca tra l’attuale ministro e il predecessore Gennaro Sangiuliano e sui resoconti sulle litigate in Transatlantico. La sostanza politica di questo ennesimo scivolone al Collegio Romano è molto più semplice. Ed era soprattutto facilmente evitabile. La colpa è solo ed esclusivamente di Alessandro Giuli il quale si è impuntato sulla nomina di Francesco Spano quando era evidentemente fuori luogo non tanto da un punto di vista “legale”, quanto di opportunità politica.

Lo andiamo predicando da un paio di settimane, prima ancora che Report infilasse il naso nella vicenda. Nessuno mette in dubbio le qualità di Spano come segretario del Maxxi o come capo di gabinetto. Ma parliamo di un funzionario che ha collaborato con il Pd, vicino a Giovanna Melandri, ex direttore dell’Ufficio contro le discriminazioni e oggetto di una scivolosa inchiesta delle Iene. Le quali denunciarono un finanziamento da 55mila euro da parte dell’Unar, presieduto da Spano, ad un’associazione Lgbt di cui lui aveva la tessera e nei cui circoli, tra le altre cose, si praticava sesso a pagamento. L’istruttoria della Corte dei Conti finì nel nulla, vero, ma intanto lui ha perso la querela per diffamazione intentata contro le Iene che svelarono, giudice dixit, “fatti di indubbia gravità, coinvolgenti denaro pubblico in forma di finanziamento ad una associazione dedita, per tramite dei propri circoli, ad attività illecite”.

Proprio a fronte di questo background, Spano non andava nominato. Non da un ministro della Cultura dell’infosfera di destra. Non dopo lo scandalo Boccia-Sangiuliano. E sia chiaro: non perché i pro-vita abbiano raccolto un po’ di firme: fa bene Giuli a rivendicare la sua autonomia. Ma per due motivi, semplici semplici. Primo, perché se la stessa Meloni conferma un certo “nervosismo da parte del mio partito”, allora un neo-ministro non può non tenere conto delle pulsioni interne ad FdI. E poi perché chi viene indicato dal premier come titolare di un dicastero deve fare di tutto, come minimo, per evitare che si alimentino imbarazzi.

Non c’era bisogno di essere illuminati dal pensiero solare per capire che era illogico garantire uno stipendio pubblico, e un ruolo di rilievo, a uno le cui dimissioni dall’Unar furono richieste proprio da Giorgia Meloni. Bastava cercare il suo vecchio post su Facebook: “Non un euro in più delle tasse degli italiani deve essere buttato per pagare lo stipendio a dei signori, come il direttore dell’Unar Spano, che in evidente conflitto d’interessi assegnano decine di migliaia di euro di soldi pubblici ad associazioni di cui sono soci”. Non era difficile immaginare che sarebbe finita così.

Giuseppe De Lorenzo, 24 ottobre 2024

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