Dai peggiori anni della nostra vita possiamo aspettarci di tutto e infatti arriva. Nella più deprimente normalità, possiamo apprendere che dagl’inferi della stazione Termini di Roma Capitale sgorga un pluripregiudicato a quanto a pare ghanese che, come per un gioco di prestidigitazione, fa apparire un coltellaccio da cucina e dà di matto, minaccia, inveisce, zompa su alcuni scooter e sfida gli agenti fino a che uno di loro non è costretto a neutralizzarlo con una rivoltellata che dalla gamba entra e dal sedere esce. Nessun pericolo di vita, il balordone è curato e assistito all’ospedale e resterà in città perché le nostre assurdissime leggi impediscono il rimpatrio a mine vaganti dalla provenienza incerta.
Il mistero del migrante armato
Pare un racconto di ubriachi, è la più banale della realtà e neanche perdiamo più tempo a porci domande, a stupirci, men che meno indignarci. Solo che tra le pieghe dell’ordinaria follia alcune questioni restano sospese. Come ha fatto un pluripregiudicato dall’aspetto allucinato a entrare e uscire da una stazione dei treni brandendo un coltello lungo così? In una città dove per dieci, quindici anni ha tenuto banco lo stato d’allarme permanente sul terrorismo islamico; difatti il balordo, tra le varie attività, risulta coinvolto nella jihad. Gli scali ferroviari non erano tra i luoghi più sensibili? O l’emergenza Covid ha fatto dimenticare tutto e il formicolio di divise delle forze armate, delle mimetiche dell’esercito, degli elementi in borghese è stato concentrato a verificare il regolare uso delle mascherine?
Perché era a piede libero?
Altra questione. Il misterioso ghanese risulta pluri-pluri-pluripregiudicato nonché soggetto ad alto rischio, insomma molto pericoloso: e che diavolo ci faceva en plen air, per di più munito d’arma bianca? Qui la soluzione è un po’ più semplice, più immediata, sta nel combinato disposto di leggi criminali al contrario, cioè che tutelano i delinquenti a discapito della collettività, e di magistrati chiaramente inclini ad applicarle essendo toghe ideologizzate al servizio di precisi schieramenti politici; le stesse che minacciano la rivoluzione ogni volta che vedono messe in discussione le loro prerogative al limite dell’eversivo.
Prendiamo tutto questo, mescoliamolo insieme e otteniamo la cronaca di una morte annunciata, un’altra, e sviata solo per la decisione fredda di un agente di pubblica sicurezza. Il tutto in Roma, capitale d’Italia, metropoli incasinata, regno di cinghiali, di violenza diffusa e potenziale bersaglio per aggressori di ogni tipo e provenienza. Insomma siamo sempre allo Stellone, all’intervento provvidenziale dell’eroe per caso, all’italico culo che scongiura il peggio. Solo che il culo non sempre scatta, a volte capita che uno con un piccone ne tritura tre, quindi lo mettono all’ergastolo ma presto gli abbassano la pena e combinano per farlo uscire. Come anche nel caso di alcuni tra i cannibali di Desirée Mariottini, che una giustizia laida ha tentato di liberare salvo metterci una pezza quando ha capito che qualcuno sarebbe andato a farsi giustizia da solo. Se hanno tenuto dentro uno dei quattro mostri non è stato per senso di decenza ma per proteggerlo.
Essendo nei peggiori anni della nostra vita, al peggio non c’è fine: si attende una chiara presa di posizione dalla segreteria Pd che, nello stigmatizzare le gravi responsabilità di Salvini & Meloni, rivendicando l’indifferibile urgenza di ius soli e maggiori afflussi clandestini, candidi lo sconosciuto ghanese e nel contempo pretenda la testa dell’agente che ha sparato, visto che non ce l’ha rimessa per un fendente. Qui non c’è posto per sceriffi, bandire le armi, sensibilizzare le forze dell’ordine: se allo scalmanato che li sfidava, fatevi sotto che vi scanno, avessero letto qualche pagina dell’ultimo intervento di Saviano, sarebbe crollato subito tramortito come per una martellata in nuca e nessuno si sarebbe fatto male.
Max Del Papa, 22 giugno 2021