Spendere senza aumentare il debito pubblico è possibile: ecco come

L’opinione di Paolo Becchi e Fabio Conditi

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abbassare debito pubblico

Da un punto di vista macroeconomico, il 2023 si è chiuso con i fuochi d’artificio. Tra il no al MES e il nuovo Patto di Stabilità e Crescita, c’è tanto di cui discutere.

Il nuovo MES non è stato ratificato

Per la prima volta in Italia, la non ratifica del nuovo MES ha evidenziato una maggioranza trasversale e consistente, che non si piega ai diktat dell’Unione Europea e che è capace di dire NO. Il nuovo MES era una vera e propria gabbia rinforzata, soprattutto per l’Italia, perché imponeva agli Stati di finanziare pronta cassa il salvataggio del sistema bancario europeo, di cui hanno principalmente bisogno le grandi banche speculative tedesche e francesi. Inoltre, introduceva automatismi nella gestione del debito delle nazioni, per i quali rischiavamo, indipendentemente dalla nostra volontà, di essere comunque obbligati a prendere il MES e a sottostare a tutte le condizionalità conseguenti, facendo la fine della Grecia.

La sospensione dei vincoli del Patto di Stabilità e Crescita

Negli ultimi tre anni i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita sono stati sospesi e l’Italia ne ha approfittato per aumentare il proprio deficit, dimostrando che, contrariamente alla narrazione ufficiale, con una maggiore crescita economica, il rapporto debito/PIL si riduce. Infatti, è errata la convinzione che, riducendo il deficit, si riduce il rapporto debito/PIL. Il rapporto debito/Pil è una frazione che ha il debito al numeratore (2800 miliardi per l’Italia) e il PIL al denominatore (2000 miliardi). Se riduco il deficit di 100, riducendo la spesa pubblica o aumentato il prelievo fiscale, questo comporta come minimo la riduzione di 100 anche del PIL, se non di più, considerando i moltiplicatori economici. Risultato: il rapporto debito/PIL aumenta, non diminuisce.

Il nuovo Patto di Stabilità e Crescita

Tutti erano d’accordo nella necessità di rivedere i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita, ma le prime indicazioni che sono state approvate, non ancora definitive, mostrano la volontà di mantenere in essere l’impianto generale, ammorbidendo solo alcuni vincoli che in precedenza si erano dimostrati inapplicabili. In particolare, in merito al rapporto debito/PIL, la convergenza rispetto al 60% risulta oggi molto più blanda: la percentuale si abbasserebbe al ritmo dell’1% all’anno. Oltretutto, nei primi anni si aprono ulteriori elasticità: si dovrebbero poter escludere dal calcolo del debito per i primi 3 o 7 anni, alcuni tipi di investimenti e anche le spese per interessi, che per noi rappresentano una cifra consistente. Significherebbe recuperare più di cento miliardi all’anno, che non è pochissimo.

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Cambiare paradigma

Il problema si può risolvere, ma bisogna cambiare paradigma. Se lo Stato crea cento miliardi di euro di credito d’imposta cedibile all’anno e li utilizza per politiche espansive, visto che questo strumento non aumenta il debito pubblico, il rapporto debito/Pil può passare in dieci anni dal 145 al 90%. Infatti, se posso aumentare la spesa pubblica di cento miliardi lasciando invariato il debito pubblico, il PIL al denominatore aumenta, riducendo il rapporto debito/PIL.

Per comprendere meglio il meccanismo, ipotizziamo che il governo voglia costruire un ospedale da cento milioni di euro. Oggi come lo finanzierebbe? Ci sono tre possibilità. La prima, aumentare le tasse, ma siamo già a un livello tale che i cittadini non hanno i soldi per pagarle. La seconda, tagliare la spesa pubblica, ma mando in recessione un altro settore dell’economia. La terza modalità è quella di emettere BTP a dieci anni sui mercati finanziari. Ammesso che vada in porto, 100 milioni di BTP al tasso d’interesse attuale fanno 160 milioni di euro in dieci anni. Quindi lo Stato ha un aggravio della spesa pubblica del 60% su tutto quello che fa. Occorre cambiare paradigma.

Per costruire l’ospedale faccio una gara che prevede che l’impresa vincitrice non sia pagata in euro, ma con un credito d’imposta, che può essere detratto dalle tasse dopo due anni. Questo credito è cedibile, non solo alla banca, che lo cambia in euro, ma anche ai fornitori e ai dipendenti. A tutti gli effetti è uno strumento di pagamento: libero, gratuito, che non scade mai. Può avere anche un incremento annuo in modo da evitare il fenomeno dello “sconto” e aumentare la sua accettabilità.

Il vantaggio per lo Stato è che l’impresa deve emettere fattura, quindi pagare IVA, dipendenti, contributi e fornitori, che a loro volta pagheranno IVA, dipendenti e contributi. Quei 100 milioni di euro di ospedale hanno generato un PIL di 300 milioni, e lo Stato incassa il primo anno le tasse su questi 300 milioni. Se rendo questa moneta fiscale compensabile dopo due anni, ovviamente alla scadenza di tale periodo il debito aumenterebbe comunque, sotto forma di mancato gettito, ma l’aumento del gettito fiscale il primo anno compensa ampiamente la misura. Oltretutto dopo due anni, posso emetterne altra per andare a pari. Se questa operazione lo Stato la fa tutti gli anni, avrà sempre prima il guadagno e solo dopo due anni la spesa, ma non pagherebbe interessi che finirebbero all’estero.

Il credito d’imposta cedibile

Questo strumento permette allo Stato di fare politiche espansive senza aumentare il debito pubblico, evitando di pagare gli interessi sull’emissioni di BTP ai mercati finanziari. Mario Draghi è stato nominato premier appositamente per bloccare questa misura che avrebbe consentito allo Stato di fare spesa pubblica senza pagare dazio ai mercati finanziari. Alle grandi banche e ai fondi d’investimento, ovviamente, questa misura non conviene, perché loro guadagnano proprio su quel 60% di interessi generato dall’acquisto dei BTP. Se vedono che lo Stato ne può fare a meno, fanno e faranno di tutto per bloccarlo.

Prima di Natale abbiamo inviato una proposta concreta e realizzabile a tutte le istituzioni interessate dall’emergenza alluvione del 2023 in Emilia-Romagna, dove lo strumento del credito d’imposta cedibile può essere efficacemente utilizzato per risarcire gli alluvionati e mettere subito in sicurezza il territorio. In questo modo la sua circolazione nell’economia reale è in grado di generare una ripresa economica veloce e duratura. Perché non provarci?

Paolo Becchi e Fabio Conditi, 23 gennaio 2024

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