Politica

Spese militari, Draghi cede a Conte. E sbaglia - Seconda parte

Nel giugno del 2021, mentre si svolgeva il G7 a presidenza britannica in Cornovaglia, Grillo incontrava l’ambasciatore cinese a Roma, provocando imbarazzo nel governo italiano. Così come il voto contrario al decreto Ucraina del presidente della commissione Esteri, il senatore pentastellato Vito Petrocelli, che sostiene una linea filorussa e filocinese, conferma l’ambiguità grillina in politica estera. L’ex premier nella sua crociata contro l’aumento delle risorse da destinare alla Difesa esibisce un testacoda grottesco, considerando che lo stesso Conte dal 2018 al 2021 ha autorizzato l’innalzamento della spesa da 21 miliardi annui a 24 miliardi e mezzo. Dunque, l’avversità odierna, se non si dichiara in un pentimento postumo, è il sintomo di un’amnesia selettiva che non depone a favore dell’affidabilità del capo dei 5 stelle. Minacciare una crisi di governo, smentendo i precedenti orientamenti ascrivibili alla sua condotta, delinea una personalità politica schizofrenica con l’aggravante di produrre una fibrillazione in una fase che dovrebbe imporre la massima compattezza della maggioranza parlamentare. Indebolire la posizione italiana nello scenario europeo, sbiadendo l’ispirazione atlantista, è un atto di diserzione che candida il Movimento 5 stelle al collateralismo con ambienti ostili agli interessi geo-politici dell’Europa.

Tuttavia, la dichiarazione del premier Mario Draghi durante la conferenza alla stampa estera – «Sul Def non è prevista alcuna indicazione specifica di spese militari» – indica un cedimento che il Paese non può permettersi. Pertanto, occorre che tutte le forze politiche presenti in Parlamento, compresa FdI, operino per isolare i sabotatori dell’unità atlantica in nome della libertà e della democrazia.

Andrea Amata, 1° aprile 2022

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