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Spread, perché le agenzie di rating sono importanti (e fallibili)

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Ci sono due piani che si incrociano. E che ieri, plasticamente, hanno fornito un segnale brutto, ma da interpretare, con lo spread che sfiora quota 300, la Borsa che continua a scendere e Fitch che ha confermato il rating dell’Italia ma con outlook negativo.

Il primo è quello dell’economia privata fatta dalla produzione, dall’investimento delle imprese e dalla risposta delle famiglie. La seconda è quella pubblica, dei conti dello Stato. Anche un bambino capisce che le due cose sono in stretta relazione. Se uno Stato produce troppi debiti, qualcuno li dovrà pur finanziare. Ecco perché le tremende (hanno molte colpe da farsi perdonare, per la verità soprattutto di omissione) agenzie di rating ricoprono un ruolo importante. Nel bene o nel male sono seguite dai mercati. E cioè, concretamente, da chi compra e vende una particolare merce italiana, che si chiamano titoli di Stato. Se il voto che ci concedono peggiora, aumenta il costo che dobbiamo sopportare per piazzare la nostra merce sui mercati internazionali. Circa tre euro su dieci (tra Bot e Btp) sono in giro per il mondo. Il termometro delle agenzie può non piacere, ma produce effetti che non si possono negare.

E siccome queste combriccole di analisti economici non sono fatte da computer, ma da esseri umani, talvolta sbagliano. Mettiamola diversamente: sono portate a sbagliare quanto più l’ambiente circostante (quello specifico di chi mastica mercati e tassi) si posiziona su un pregiudizio. Nessuno di loro aveva capito di quanto fossero senza senso le posizioni delle due agenzie parapubbliche americane Fannie e Freddie, motore della crisi dei subprime. Sono invece, giustamente, fissate sull’entità del debito pubblico italiano e sulla nostra capacità di ripagarlo. Infine godono di un difetto congenito: contribuiscono a realizzare ciò che presumono. Un declassamento da parte loro dei nostri titoli rappresenta non il primo segnale dell’inferno, ma la prima spinta per andarci a finire.

L’economia privata in realtà non sta andando così male. Il centro studi di Intesa SanPaolo ieri ha scritto che la nostra economia rallenta, ma «nel complesso emerge un quadro non dissimile da quello del resto della zona euro». La guerra dei dazi e la crisi in due Paesi importanti come Turchia e Argentina contribuiscono al generale humor nero.

Gli economisti, come le agenzie di rating, in cuor loro pensano di poterti raccontare il futuro. Alla fine sono molto più efficaci nello spiegarti il passato. Nonostante lo spread e il timore dei complotti, il nostro futuro non è affatto scritto. Certo che se aboliamo lo stato del diritto economico al semplice volere di chi comanda, decretiamo come deve essere il lavoro e pretendiamo che il pubblico faccia meglio del privato, beh allora non è lo spread che ci deve preoccupare e neanche le agenzie di rating, ma come verrà ridotta la nostra impresa privata.

Nicola Porro, Il Giornale 1 settembre 2018