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Spygate, tasse, nomine. Conte è già impantanato

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Manette, tasse, merendine, promesse impossibili, qualche intrigo internazionale, nomine e il governo Conte-bis si è già impantanato. Al Quirinale e nelle capitali europee, finita l’euforia per il suicidio politico di Salvini, l’irritazione monta. Se ne sta già facendo carico il vicepresidente esecutivo Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, che ha bollato come “aria fritta” la Nota di aggiornamento al Def presentata pomposamente dall’esecutivo giallorosso. Gli è stato comunque sussurrato che il nostro premier lascerà ferma al 22% l’Iva ordinaria, su cui è posta l’attenzione di tutti, mentre a Capodanno infilerà l’aumento delle aliquote Iva del 4% e del 10%, sperando che nessuno se ne accorga.

Sull’evasione fiscale, Conte – che sui social, tra salsicce e santini, ha ormai superato persino Salvini – da Avvocato degli italiani si è trasformato in Pubblico Ministero, promettendo addirittura il Daspo per i commercialisti (quando per i suoi colleghi, i medici e gli architetti?), ma ignorando che esiste già una misura simile dell’Ordine dei commercialisti per punire i professionisti macchiatisi di atti scorretti. Il problema delle tasse non pagate viene affrontato, come sempre, in maniera demagogica e “manettara”: Conte, infatti, lungi dal varare una manovra volta a colpire chirurgicamente i numerosi e diversi segmenti di evasione fiscale, preferisce lasciar credere agli italiani che i 100 miliardi di euro che sfuggono al Fisco dipendano esclusivamente dall’utilizzo del contante.

Ma è sul fronte dei delicati equilibri nel settore della sicurezza che il presidente del Consiglio avrà vita dura, dopo la visita a sorpresa del Procuratore generale degli Stati Uniti, William Barr, svelata in anteprima proprio da Il Tempo: sono in molti ormai a consigliare al premier di lasciare la delega ai servizi, che pure tanto lo intriga, per affidarla invece ad un professionista navigato come l’attuale presidente di Leonardo Spa nonché ex capo del Dis e della Polizia, Gianni De Gennaro, peraltro ben introdotto anche a Washington. Sulle altre nomine è invece già scoppiata la rissa. Come antipasto, quelle di Invitalia e del Fondo Nazionale Innovazione, ma il vero piatto forte sono tutte le altre in scadenza, nell’attesa di sapere da Matteo Renzi su chi punterà per la riconferma della sua vecchia terna composta da Poste Italiane (Del Fante), Enel (Starace), Eni (Descalzi) e se Gentiloni continuerà a sostenere Alessandro Profumo in Leonardo.

Ma se nella nuova squadra di governo Conte si muove ormai come Napoleone, tra i ministri si contendono già dissensi e ironie social il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti e la ministra dei Trasporti Paola De Micheli, che in poche settimane è riuscita nell’impresa impossibile di far rimpiangere il suo predecessore Toninelli. A proposito di Fioramonti, c’è grande apprensione alla Farnesina perché sembra che da Tel Aviv stia arrivando una nota sulla sua attività in Sudafrica, con atteggiamenti antisemiti che non si conciliano proprio con quelli di un ministro della Repubblica di un Paese tradizionalmente vicino a Israele come il nostro. Su Paola De Micheli, invece, il buongiorno si era già visto sin dal mattino. Ancora non aveva giurato e già si era lanciata in intemerate difese della famiglia Benetton, al centro della tragedia del ponte Morandi, della querelle sulle concessioni autostradali e del pasticcio Alitalia.

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