Notizie incoraggianti dal fronte della guerra in Ucraina. Oltre all’evacuazione di tutti i civili presenti nell’acciaieria Azovstal di Mariupol, da giorni assediata dalle forze armate russe; Zelensky si è detto disposto a concordare una soluzione di pace con Mosca, anche attraverso il riconoscimento della Crimea, dal 2014 sotto il controllo dei russi.
Fino ad oggi, il trattato di adesione della penisola alla Federazione è stato riconosciuto solo da undici Stati. Il governo di Kiev ha sempre considerato il territorio parte della propria sovranità, ma pare ottimistico che Putin accetti solo questa condizione.
L’invasore, infatti, continua ad avanzare – seppur lentamente – nel sud del Paese ed occupa buona parte della regione del Donbass. Fermare la guerra, dopo il riconoscimento ufficiale della Crimea, sarebbe una sconfitta per il Cremlino; una confessione del fallimento dell’operazione dinanzi all’opinione pubblica; una débâcle che, di fatto, non sposterebbe gli equilibri sorti prima del 24 febbraio, data dell’inizio dei conflitti su larga scala.
C’è, però, un fronte vitale per l’Ucraina che pare rallentare le aperture del presidente Zelensky: la Nato. Il segretario generale Stoltenberg si è espresso contrariamente al riconoscimento internazionale della Crimea, specificando come “l’Ucraina debba vincere la guerra perché sta difendendo il suo Paese”. E ancora: “Sosterremo Kiev fintanto che il presidente Putin continuerà questa guerra”.
Pur riconoscendone la piena libertà e sovranità nelle negoziazioni, le parole dell’Occidente sembrano voler lanciare un allarme al governo ucraino: niente accordi di pace temporanei, niente diplomazia con il regime di Mosca. Il conflitto potrà essere concluso solo quando le forze della resistenza avranno ripristinato l’intera sovranità sul Paese occupato.
L’obiettivo sembra decisamente lusinghiero, quasi impossibile se si denota il divario tra l’esercito russo e quello ucraino. Mosca, infatti, può vantare una sostenibilità del conflitto anche per lungo tempo, spremendo sempre di più lo Stato occupato e giungendo alla sottrazione definitiva dello sbocco sul Mar Nero.
Ciò che desta sospetto è poi la tempestività delle dichiarazioni di Stoltenberg con quelle di Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri italiano, infatti, si era espresso a favore della soluzione diplomatica presentata da Zelensky, parlando di “apertura importantissima”. Poche ore dopo, ecco invece il messaggio del segretario generale della Nato: l’Ucraina, anche se aggredita, deve essere libera nell’esercizio della sua sovranità, ma è categoricamente smentita l’ipotesi di una trattativa sulla Crimea.
Alcune domande sorgono spontanee: Stoltenberg ha voluto rispondere a Di Maio? C’è la possibilità che con queste dichiarazioni, seppur riconoscendo esplicitamente la sovranità d’azione ucraina, vi sia un tentativo velato di influenzare le decisioni di Kiev?
Peraltro, si parla di uno Stato né membro Nato, né parte dell’Unione Europea. E quindi, come è evidente che l’aggressione russa non possa trovare alcuna giustificazione, è altrettanto importante sottolineare come l’alleanza atlantica non possa dettare le condizioni di pace, subentrandosi a quello che è un governo legittimamente in carica. Forse, proprio per questa ragione, Stoltenberg avrebbe deciso di “mascherare” il messaggio, attraverso il chiaro riconoscimento della sovranità ucraina.
Al di là di ogni dubbio, però, le parole del capo dell’alleanza atlantica rimarcano il progressivo accentuarsi di una Guerra Fredda 2.0, dove i protagonisti del gioco sono l’Occidente – con a capo la potenza americana – ed i regimi asiatici – Russia e Cina su tutti. All’interno del contesto, proprio come nel secolo precedente, ecco che si sostengono o combattono una serie di conflitti minori, che interessano territori essenziali in tema di deterrenza.
L’Ucraina si instaura all’interno di questo processo: Kiev è la rappresentazione plastica di come i contendenti principali siano le superpotenze, americana e russa.