di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
Supponiamo che, a seguito degli effetti di una serie di politiche sanitarie, i decessi tra gli ultraottantenni si riducano di 50 mila, ma quelli tra i 50 anni (come media) aumentino di 10 mila. Il numero dei morti totali si è ridotto di 40 mila, ma dato che ci sono 35 anni di differenza (in media) tra i due gruppi, il numero di anni di vita persi è aumentato di 300 mila anni (10 mila x 35 – 50 mila). Insomma, morire a 85 anni è accettabile, se ne va una vita vissuta. A 50 anni, per non parlare di 40 o 30 anni o 20 anni invece si è persa buona parte della vita che si poteva vivere.
Se però si guardassero solo le statistiche dei decessi, in un caso del genere il sistema sanitario e le autorità potrebbero dire che la situazione è migliorata, anche se in realtà da un punto di vista umano e sociale è peggiorata. Se poi nel calcolo dei 10 mila morti in più tra chi ha diciamo meno di 64 anni (non è pensionato) si trovano anche molti di 40 o 30 o 20 anni il contrasto è ancora più drammatico.
Questo è esattamente quello che sta succedendo nel 2021 in Europa. Secondo i dati dell’Osservatorio Europeo sulla Mortalità, EuroMomo, nel 2021 si registrano meno morti rispetto al 2020 nella fascia oltre gli 85 anni: circa 50 mila decessi in meno (per tutte le cause, non parliamo dei morti Covid).
È difficile isolare le cause dell’aumento o della diminuzione dei morti totali, ma sicuramente un fattore che ha avuto un peso può essere stata la vaccinazione nel 2021, visto che la Covid19 colpiva in media persone di 80 anni. Per quella fascia di età il vaccino ha funzionato. Nella fascia tra i 65 anni e gli 85 anni invece la mortalità totale quest’anno è quasi identica a quella del 2020.