Amos Hochstein, esponente del Partito Democratico al Congresso degli Stati Uniti, che ha prestato servizio nell’amministrazione Obama sotto i Segretari di Stato Clinton e Kerry, e che attualmente è uno dei principali aiutanti di Joe Biden, durante un’intervista con l’emittente televisiva israeliana Channel 12 ha affermato che la nuova amministrazione rientrerà nell’accordo nucleare iraniano con le potenze mondiali subito dopo l’insediamento del prossimo 20 gennaio.
L’Iran e il nucleare
Hochstein ha affermato che rientrare nel Piano d’Azione globale congiunto (Jcpoa) è per Biden una priorità assoluta da raggiungere durante il suo mandato di presidente. “Credo che nei primi mesi della sua presidenza lo vedremo rientrare pienamente nell’accordo che chiamerei ‘Jcpoa-meno’, il che significa revocare le sanzioni in cambio della sospensione di alcuni dei programmi nucleari iraniani sviluppati negli ultimi tre anni “. Sempre secondo Hochstein, Biden potrebbe cercare di apportare alcune modifiche all’accordo, modifiche che però non sono state specificate.
Il Jcpoa è stato originariamente firmato nel luglio 2015, ma durante l’amministrazione Trump, per la precisione nel 2018, gli Stati Uniti si sono ritirati dal patto. Hochstein nelle sue dichiarazioni sembra dimenticare, e se lo fa, lo fa volutamente, i documenti che sono stati sottoposti a tutti i servizi di Intelligence statunitensi, sui quali c’erano le prove che nonostante gli accordi la parte militare del programma nucleare iraniano era tutt’altro che ferma. Ad aggiungere benzina al fuoco, è proprio di questi giorni l’allarme dell’Aiea che per la prima volta ha trovato tracce di uranio artificiale in un sito non dichiarato. Allarme che ha fatto scaturire un monito di Francia, Germania e Gran Bretagna, potenze che non avendo lasciato l’accordo ne chiedono il pieno rispetto.
La questione israelo-palestinese
Per quanto riguarda la ripresa dei colloqui di pace israelo-palestinesi, Hochstein ha detto che Biden vede la soluzione dei due Stati come preferibile a quella dello Stato unico, ma se proseguirà lo stallo sarà inevitabile una trasformazione di Israele in una nazione unica per arabi ed ebrei. Se davvero Biden pensa di trasformare Israele in uno Stato dove arabi e israeliani possano vivere in pace fra loro, sogna. E il suo sogno è un incubo che trasformerebbe la regione in un campo di battaglia dove ci sarebbe un sanguinoso tutti contro tutti: esattamente quello che si è cercato di evitare dal 1948 ad oggi, quando la separazione fra arabi ed ebrei fu decisa dalla Società delle Nazioni al momento della divisione del Protettorato britannico di Palestina. Divisione che portò alla creazione del regno di Giordania e di Israele.
Scenario inquietante
Qualcuno dovrebbe informare lui e i suoi consiglieri di questo particolare non da poco. Domenica scorsa, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha detto che la prossima amministrazione americana ha l’opportunità di compensare i suoi errori e ha segnalato la speranza che Usa e Iran possano ricalibrare il loro rapporto. Queste dichiarazioni non fanno altro che rinnovare uno scenario che abbiamo già visto fallire durante gli otto anni dell’amministrazione Obama, scenario che oltre ad aver scaldato molti fronti e tramutato le ‘primavere arabe’ in algidi inverni, ha visto arrivare al potere in alcune nazione le peggiori dittature e far crollare i fragili equilibri sui quali si basava la calma relativa che teneva tranquilla la regione.
Scenario che ha dato il via a troppe guerre e che ha lasciato dietro di sé una scia di sangue difficile da dimenticare e impossibile da perdonare. Scenario che durante l’era Obama vide i più importanti alleati degli Usa, soprattutto in Medioriente, come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, il Bahrein e Israele, allontanarsi da Washington e mantenere i rapporti al minimo sindacale. Gli stessi alleati che durante la presidenza Trump hanno, ufficialmente e non, normalizzato fra loro i rapporti diplomatici.
Se Biden entrerà alla Casa Bianca e se rientrerà nel trattato Jcpoa vedremo nuovamente Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein e Israele prendere le distanze, e se durante Obama lo fecero alla spicciolata, è facile prevedere che in questa seconda ondata lo faranno in blocco. Questo perché, inutile girarci intorno, il mondo sunnita teme l’atomica sciita molto più dello Stato Ebraico per il semplice fatto che, al contrario di Israele, è completamente sguarnito di sistemi di difesa antimissilistica.
Se a questo aggiungiamo che il 12 novembre la Tv iraniana ha riportato la notizia che Teheran, in barba alla risoluzione dell’Onu 1701 che prevede il disarmo di Hezbollah, ha fornito alla milizia sciita in Libano un gran numero di missili Fateh-110 insieme ad altri missili balistici antinave, e che in precedenza Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, aveva affermato che se necessario avrebbero colpito il reattore nucleare di Dimona in Israele proprio con i missili ‘Fateh-110’, che hanno un raggio d’azione di oltre 300 chilometri, ci rendiamo conto che, nonostante Biden stia ancora a casa sua, i venti di guerra si stanno già alzando.
La vendita di missili a Hezbollah da parte dell’Iran non è una novità, ma è la prima volta che Teheran lo afferma pubblicamente. Il portale online Axios ha riferito domenica che l’amministrazione Trump sta pianificando una raffica di sanzioni contro l’Iran prima della fine del suo mandato, il che potrebbe mettere in crisi Biden ancora prima che metta piede nello Studio Ovale. Potrebbe però anche nascondere un piano per dare un colpo definitivo al programma nucleare iraniano prima di una eventuale uscita di Trump dallo Studio Ovale.
Michael Sfaradi, 13 novembre 2020