Il politicamente corretto vive di cortocircuiti spazio-temporali, e quello che segue è definitivo. Chi volesse trovare un senso alla cronaca isterica che in questi giorni arriva da Oltreoceano, con un gruppo di professionisti del saccheggio urbano che ha scelto di battezzarsi “Antifa” in un Paese che il fascismo non l’ha mai conosciuto (anzi l’ha storicamente sradicato), il quale sta devastando negozi, incendiando edifici, aggradendo a sangue persone, mettendo a ferro e fuoco le città d’America, tra gli applausi scroscianti dell’élite liberal rintanata nei propri attici e in delirio sensuale per la folla che vuole lo scalpo dell’orco Donald Trump, dovrebbe semplicemente mettere in fila due dichiarazioni. Una di Barack Obama, e l’altra di Obama Barack.
Barack Obama, 28 aprile 2015, all’indomani delle violenze esplose a Baltimora e altrove dopo la morte in seguito all’arresto da parte della polizia dell’afroamericano Freddie Gray, nel suo ruolo di presidente degli Stati Uniti:
“Quando le persone usano il piede di porco e iniziano a buttare giù porte per saccheggiare, non stanno protestando, non stanno facendo una dichiarazione: stanno rubando. Quando bruciano un edificio, commettono un incendio doloso. E stanno distruggendo e minando le imprese e le opportunità nelle loro stesse comunità. Quindi è del tutto appropriato che il sindaco e il governatore, con cui ho parlato ieri, lavorino per fermare questo tipo di violenza e di distruzione senza senso. Questa non è una protesta. Questa non è una affermazione. Sono teppisti che approfittano di una situazione per i propri scopi e devono essere trattati come criminali”. Il governatore del Maryland, in base a queste parole in totale accordo con Obama, chiese e ottenne l’intervento nelle strade della Guardia Nazionale. Ovvero, di un corpo militare: l’ipotesi che in queste ore turba il sonno delle educande democratiche di ambo le sponde dell’Atlantico, perché ventilata dall’attuale inquilino repubblicano della Casa Bianca. Ma andiamo al secondo tempo.
Obama Barack, 3 giugno 2020, all’indomani delle violenze esplose a Minneapolis e altrove per l’uccisione da parte della polizia dell’afroamericano George Floyd, nel suo ruolo di burattinaio del candidato-manichino Joe Biden:
“Parlo ai milioni di americani che sono scesi in strada e hanno fatto sentire la loro voce, un’ondata di proteste che nascono da una legittima frustrazione. C’è un cambio di mentalità in atto, una maggiore consapevolezza che possiamo fare meglio. E questa non è conseguenza dei discorsi dei politici, ma il risultato diretto della capacità di così tanti giovani di mobilitarsi. La spinta dei giovani fa ben sperare per il futuro. Voglio che sappiate che voi contate, che le vostre vite contano, che i vostri sogni contano”.
Chi deruba, percuote, spranga sotto la presidenza dell’avvocato progressista, idolo della cricca hollywoodiana, Nobel preventivo per la Pace deve “essere trattato come un criminale”. Chi deruba, percuote, spranga sotto la presidenza del miliardario conservatore, idolo della classe operaia bianca (orrore!), malvisto dalle burocrazie federali, deve sapere che “i suoi sogni contano”.
Sta qui, in questa antinomia sbracata contrabbandata per ovvietà, l’essenza del politicamente corretto.
Giovanni Sallusti, 6 giugno 2020