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Sulle Regioni il governo centralista ha sbagliato tutto

Giustamente, Nicola Porro dice: ci lamentiamo se gli stranieri non ci vogliono, o vogliono imporci la quarantena, e poi abbiamo presidenti di Regione che sbarrerebbero i confini ai lombardi.

Sì, di governatori sceriffi ne abbiamo abbastanza. Ci serve una sanità territoriale che si attrezzi per non farsi trovare impreparata, in caso di seconda ondata del virus. Non ci servono predicatori asserragliati in un bunker che minacciano i cittadini (“vi mandiamo i carabinieri con il lanciafiamme”) e li insultano (“chi non mette la mascherina è una bestia”). Anche perché, per quanto pittoreschi, i Vincenzo De Luca non spiegano qual è il loro piano: tenere le persone ai domiciliari fino all’immunità di gregge da vaccino? Supplire a una sanità scadente con due anni di coprifuoco?

A discolpa dei governatori, però, bisogna riconoscere che la questione del rapporto Stato-Regioni è stata da subito impostata malissimo e ispirata al più deteriore centralismo. Fino ai deliri del Mao di Bisceglie, Francesco Boccia, arrivato quasi a brandire lo spauracchio del commissariamento della Lombardia.

È vero, come ha detto oggi sul Tempo il costituzionalista Sabino Cassese, che la “profilassi internazionale” spetta a Roma. Questo, tuttavia, riguarda l’emergenza sanitaria, quindi l’imputabilità degli errori, a partire dai protocolli sul contingentamento dei tamponi. È vero anche che le Regioni ora non possono sigillare le frontiere interne. Ma era da febbraio che lo Stato, piuttosto che rovinare la relazione con le Giunte, doveva lavorare insieme ai governatori.

Chiudere subito il Nord –senza fughe di notizie e carovane di profughi in fuga da Milano. Monitorare l’epidemia al Centro e al Sud con i test a tappeto, magari fermando bar e ristoranti, ma consentendo a tutte le imprese, i professionisti e gli uffici di funzionare fino all’emersione di focolai locali. Come in Cina, dove l’Hubei è andato in lockdown e il resto del Paese ha proseguito a lavorare e produrre. Poi, da subito dopo Pasqua, si poteva e si doveva preparare un piano di ripartenza, anch’esso differenziato, persino per aree all’interno di una stessa Regione. Che senso ha avuto il braccio di ferro con la Calabria, Regione già da tempo Covid free, ma trattata come Lodi e Nembro? Che senso ha avuto blindare L’Aquila, a zero contagi dal 19 aprile, come Pescara, che fino a qualche giorno fa registrava ancora sia pur sparuti casi di coronavirus?

“Ci sarebbe stato il caos”, obiettano i centralisti. Sarà. Con il regime assoluto di re Giuseppi è filato tutto liscio? Con le Faq di Palazzo Chigi sui congiunti, hanno trionfato concordia e chiarezza? La giungla delle ordinanze di governatori e sindaci, peraltro, ha ugualmente confuso le acque. Bastava coordinarsi, accordarsi, anziché usurpare le Giunte.

Ve lo ricordate, al contrario, il protagonismo assurdo di Giuseppe Conte? Quello che telefonò in diretta tv al presidente delle Marche, Luca Ceriscioli, per impedirgli di chiudere le scuole? Ve lo ricordate l’avvocato del popolo, mentre accusa i medici di Codogno? E Boccia? Che nonostante il pm abbia di fatto scagionato Attilio Fontana, continua a polemizzare sulla zona rossa nella Bergamasca? Volevate commissariare tutto, però per ciò che è andato storto date la colpa alle Regioni?

Ecco. Se oggi in Italia le istituzioni si guardano in cagnesco, la colpa è di chi parlava come Churchill, ma si comportava come Maduro.

 

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