Politica

Sull’immigrazione ha vinto Salvini

Hanno dipinto il Capitano e i leghisti come “xenofobi” e “razzisti” per le posizioni assunte sui sbarchi e confini. Ma ora tutti lo copiano

Salvini

Il raduno della Lega, per la 36esima edizione della kermesse di Pontida, ha segnato il decennio salviniano alla guida del movimento fondato da Umberto Bossi. Il leader leghista ha rivendicato la difesa dei confini come punto focale della tenuta europea, ribadendo una linea che molti governi in Europa, anche di sinistra, ora stanno adottando, dopo anni di immobilismo per contrastare l’immigrazione clandestina. A Matteo Salvini va riconosciuta la primazia sul tema della difesa dei confini e l’inasprimento delle politiche di controllo del fenomeno migratorio, in atto nei paesi europei, conferma la validità di un modello che è stato banalizzato e derubricato a sintomo xenofobo da una sinistra sempre più dissociata dalla realtà. Il tema dell’immigrazione illegale genera dei riflessi di inquietudine nella società europea: per l’impatto sulla geografia urbana, soprattutto nelle periferie; per il consumo delle risorse che alimentano il sistema del welfare, provocando irritazione nella popolazione dei paesi ospitanti a causa di una congiuntura economica avversa e amplificata dalla crisi energetica con i suoi effetti inflattivi.

In tale contesto è emersa una diffusa consapevolezza politica per troppo tempo rimasta latente al solo fine di compiacere le utopiche visioni immigrazioniste. Un’ulteriore variabile, che ha indotto le cancellerie europee ad affrancarsi dalle politiche lassiste sulla gestione del fenomeno migratorio, è rappresentata dall’uso strumentale dei flussi irregolari da parte di governi autoritari per causare instabilità. Ricordiamo la pressione ai confini con la Polonia provocata dalla Bielorussia di Lukashenko con i migranti provenienti dall’Iraq e la monetizzazione dell’emergenza migranti da parte della Turchia di Erdogan che, per contenere l’assedio di siriani, iracheni, pakistani e afghani, ha incassato oltre 6 miliardi di euro dall’Ue.

Per smarcarsi dagli effetti perversi di una gestione permissiva, molti governi europei si sono convinti ad adottare politiche di contrasto ai movimenti irregolari. Una tendenza che coinvolge governi di diversa connotazione politica, confermando che è attecchita una coscienza trasversale per inibire gli approdi indiscriminati. Dunque, il concetto della sovranità territoriale, demarcata da confini impermeabili agli ingressi irregolari, sta assumendo una priorità nell’agenda dei governi europei. E Salvini può rivendicare un primato politico sul tema, avendo plasmato la sua piattaforma programmatica sulla preminenza da assegnare al controllo rigoroso dei confini senza temere, peraltro, le conseguenze penali che lo riguardano per il controverso processo Open Arms.

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Il recente bilaterale fra il Primo ministro inglese, il laburista Keir Starmer, e Giorgia Meloni ha fatto emergere una convergenza di vedute in fatto di governo dei flussi migratori, tanto che l’inquilino di Downing Street è aperto all’ipotesi di “esternalizzazione” della questione migratoria sul modello cooperativo fra Italia e Albania. In Francia il neo ministro dell’Interno, il gollista Bruno Retaillau, ha posto all’apice della sua azione la limitazione degli arrivi irregolari. In Danimarca il governo socialdemocratico guidato da Mette Frederiksen ha adottato già da tempo misure restrittive su permessi di soggiorno e cittadinanza e pensato di trasferire i richiedenti asilo in Ruanda. In Germania la politica dell’Spd del cancelliere Scholz si è convertita su posizioni legalitarie molto severe, prevedendo i rimpatri degli irregolari e il ripristino dei controlli alle frontiere. In Spagna la sinistra socialista di Pedro Sanchez, per contenere gli arrivi dalla rotta atlantica (via isole Canarie), è intenzionata a frenare le partenze e potenziare i rimpatri.

La necessità del contrasto ai flussi irregolari deriva anche dalle caratteristiche identitarie di molti stranieri che sbandierano una cultura antioccidentale e di ostentata indisponibilità ad integrarsi. Segmenti sempre più rilevanti dei migranti esortano a non farsi “contaminare” dai vizi dell’Occidente e dichiarando la loro non integrabilità ammettono una volontà conflittuale con le regole del paese ospitante. Pertanto, la questione migratoria non va gestita con la miopia con cui la sinistra nostrana osserva il fenomeno, ma con il realismo dettato dalla sostenibilità economica, sociale e culturale. La Lega di Salvini è stata fra le prime a capirlo. Di questo le va dato atto.

Andrea Amata, 7 ottobre 2024

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