Quest’ultima verifica di governo potrebbe fornire qualche utile insegnamento all’opposizione di centrodestra. Più che guardare i balletti romani, si dovrebbe occupare per davvero di Roma. Nel senso delle prossime elezioni amministrative.
Mancano meno di sei mesi per trovare un sindaco degno di questo nome per la Capitale. Non c’è tempo da perdere. Un candidato non si costruisce all’ultimo momento. La sinistra sembra spaccata. Carlo Calenda, l’unico per ora in corsa, è stato un buono ministro dello Sviluppo economico, è un antidoto al grillismo, ma scava nel campo dei progressisti un solco difficile da colmare. Peggio per loro. Virginia Raggi, assolta da un’accusa ridicola, è forse il peggior sindaco che Roma abbia visto in decenni. Per di più oggetto di fuoco amico.
Il centrodestra avrebbe per le mani un asso: Guido Bertolaso. Piace a Forza Italia, ma non sembra gradito alla coppia Meloni&Salvini. Più passa il tempo e più uno come Bertolaso si scoccerà di fare il candidato dei sogni. Con i suoi ospedali Covid, con il suo passato da formidabile disturbatore delle procedure borboniche della nostra burocrazia, è uno dei pochi che potrebbe mettere in sesto una capitale che è gestita con i piedi. Se c’è una cosa su cui l’attuale sindaco ha ragione è che trasporti, immondizia e conti, sono tre capitoli neri ereditati dal passato. Ma che la giunta Raggi ha contribuito a peggiorare.
Bertolaso è l’unico che ha le carte in regola per conquistare, politicamente, Roma e soprattutto saperla gestire. Se c’è una cosa che insegna la finta rivoluzione grillina, è che prendere i voti sulla denuncia urlata dello sfascio è relativamente semplice, mantenere le promesse fatte molto più difficile.
Ma il punto per il centrodestra non riguarda solo il nome. Roma in primis e Milano a seguire possono diventare dei simboli per una diversa amministrazione della cosa pubblica. E per una definitiva prospettiva di governo unitaria del centrodestra quando si voterà. Come possono Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia governare insieme se non riescono a mettersi d’accordo, non con un compromesso al ribasso, sulla scelta del candidato simbolo della città peggio amministrata d’Italia?
Per Milano la sfida è più difficile, anche se non impossibile. Giova ricordare che il candidato di centrodestra Stefano Parisi al primo turno prese praticamente gli stessi voti del suo concorrente Beppe Sala e che al ballottaggio perse per pochi voti, proprio per la scarsa propensione di alcuni alleati nel mobilitare le truppe al secondo turno.