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Tangenti Eni, 3 considerazioni “scorrette”

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Ieri l’Eni, Paolo Scaroni e l’alto dirigente del gruppo petrolifero Antonio Velia sono stati assolti dall’accusa di corruzione internazionale. Condannata invece la controllata Saipem e i suoi vertici. L’accusa, in parte accolta dai giudici di primo grado, è che una serie di contratti stipulati dieci anni fa in Algeria e per il valore di 8 miliardi siano stati conclusi grazie ad una mazzetta di 198 milioni di euro, a benefìcio di faccendieri e funzionari nord africani.

Facciamo qualche breve considerazione, insopportabilmente scorretta.

1. La corruzione internazionale dovrebbe essere punita con criteri internazionali. Esistono principi contabili universali (si chiamano Ias) ma non criteri uniformi per definire cosa sia una mazzetta. Quando una commissione, una consulenza, un contratto diventano corruzione internazionale? Be’, sulla carta ci sarebbero alcuni criteri condivisi ma nella realtà nessuno li adotta. In Africa i francesi hanno il loro franco parallelo. Gli americani hanno i cosiddetti slush funds, fondi opachi, che come un fiume carsico compaiono e scompaiono in funzione della tolleranza da parte delle amministrazioni che governano la Casa Bianca. In Italia siamo sottoposti alla cosiddetta obbligatorietà dell’azione penale, per la quale si arrestano i vertici di Finmeccanica e si perde un contratto in India sulla base di un processo che si conclude con l’assoluzione del manager indagato. Pura follia.

2. Nel caso specifico dell’Algeria, ma anche della Nigeria (altra presunta super mazzetta) o per il cosiddetto maxicomplotto in terra siciliana, o per il cosiddetto dossier Congo, c’è un pm a Milano, Fabio De Pasquale, che sembra essersi specializzato. Dai tempi di Mani pulite e dell’indagine su Cagliari, l’allora amministratore del cane a sei zampe, poi suicidatosi in carcere, De Pasquale sembra l’Anac dell’Eni. Ben venga il controllo sulle grandi multinazionali. Ma già che ci siamo consigliamo al Guardasigilli di affidare a un solo magistrato la pratica Eni: sono 25 anni che se ne occupa. Le cose sono due: o è una fissazione dell’illustre giudice o l’Eni ne combina più di Carlo in Francia e solo un pm se ne accorge. Scegliete voi.

3. L’ultima questione riguarda Paolo Scaroni. La vicenda Saipem secondo la giustizia di primo grado è una storia di corruzione che non poteva essere conosciuta dai vertici della società a monte, dalla holding e cioè dall’Eni guidata appunto da Scaroni. I pm per contratto debbono essere sospettosi. Il gup però aveva ritenuto già a suo tempo l’inconsistenza dell’accusa, che incurante ha insistito fino alla Cassazione per poi essere smentita dalla sentenza di ieri. Abbiamo la vaghissima impressione che ci sia un sovrappiù; oggi se parli di accanimento vieni querelato. Ma insomma la ricerca a tutti i costi di una bella preda e di un responsabile oggettivo di un malaffare, riporta appunto alla giustizia, spesso sommaria, che si amministrava durante Mani pulite.

Nicola Porro, Il Giornale 20 settembre 2018