Tassare è bellissimo: l’ultima ideologia dei progressisti (e di qualche liberale)

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Non ce la fanno, è più forte di loro. Le amano, le amano proprio, i progressisti, le tasse. Guardate quando discutono di flat tax: ridacchiano, ma è un ridacchiare nervoso, dalla voce spezzata, guardano nel vuoto come se temessero di perdere un braccio. Sono a favore dell’eutanasia, della procreazione medicalmente assistita, dell’utero in affitto, ma la diminuzione delle tasse quella no, gli appare una violazione dell’ordine naturale. E non è solo flat tax: vogliono la patrimoniale, anche se non tutti hanno il coraggio di dirlo, e poi tasse sulla casa, sulla «ricchezza» (che non si capisce cosa sia).

Tasse e sinistra, un matrimonio indissolubile, anche se le prime ingrassano sempre più mentre la seconda sta deperendo. Non è sempre stato così: fino alla Seconda guerra mondiale la sinistra era favorevole a ridurre le tasse che, gravando per buona parte sul consumo, colpivano le classi subalterne che allora essa rappresentava, diversamente da oggi. A voler invece l’aumento delle tasse per ridistribuire la ricchezza sociale furono allora prevalentemente i liberali di sinistra, soprattutto quelli inglesi.

Ma dal secondo dopoguerra, la sinistra ha iniziato non solo a teorizzare l’aumento di tasse ma a praticarlo ogni volta che finiva al governo. Anche quando, dagli anni Settanta in poi, era evidente che ciò l’avrebbe portata al suicidio elettorale. Eppure ha rivisto quasi tutto nella sua storia, ma l’amore per le tasse, quello mai. Perché?

Il filosofo francese Philippe Nemo in Philosophie de l’impot ci spiega che quella delle tasse è anche una questione filosofica. Attraverso il rapporto che un individuo o un gruppo politico intrattengono con le imposte, si può capire il loro rapporto con il mondo. Nel caso della sinistra, la sua ideologia, nata con la Rivoluzione francese è costruttivista e razionalistica. Vuole edificare un ordine nuovo, una società nuova, un uomo nuovo e per fare questo ha bisogno di raddrizzare il legno storto dell’umanità, liberarla dalle deviazioni e dalle passioni, a cominciare da quella «egoistica» di tenersi per sé le proprie ricchezze. Inoltre, questo ordine nuovo, e molto complesso, ha bisogno di risorse, di molte risorse, visto che deve essere fondato su una eccellente organizzazione che tutto deve controllare: e queste risorse devono essere prelevate dalle tasche dei cittadini. Non è solo necessario: è giusto. E bello.

Senza queste risorse, o con le risorse ridotte, la macchina della società rischia di incepparsi. Dove per società la sinistra non intende la civil association dell’illuminismo scozzese né la comunità come little platoon di Edmund Burke: no, intende la società come insieme di burocrazie (sindacati, confederazioni, associazioni, enti, ecc) che confluiscono nella Burocrazia Massima, quello dello Stato, che dovrebbero assorbire gli individui e la forma di vita collettiva più vicina alla natura umana, la famiglia.

Questo statalismo, per definirlo impropriamente, definisce la sinistra italiana più di quella di altri paesi (se escludiamo Corea del Nord, ovviamente). L’elemento interessante però è un altro: a farle compagnia nella banda dei Tassatori vi sono anche molti che con la sinistra non si intonano e che si (auto) definiscono liberali. Ricordate Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia nel secondo governo Prodi, e il suo «le tasse sono bellissime»? Ebbene, egli certo con la tradizione di sinistra niente aveva a che fare. Era l’esponente massimo di quel liberalismo dirigista e pianificatore che, tra l’altro, ci ha regalato questa Unione europea dominata dalla tecno burocrazia.

E Mario Monti? Un liberale classico, direbbe di sé. Eppure non solo le tasse con il suo governo le ha alzate, ma ritiene che sia necessario farlo ancora, e che la sola idea di ridurle equivalga a una bestemmia. L’unica differenza tra la sinistra e i liberal-gabellieri, entrambi sostenitori di un ordine coartato che è l’opposto dell’ordine spontaneo, sta in questo: i primi in fondo non sono troppo preoccupati dal debito pubblico, mentre per i secondi la sua riduzione è un autentico feticcio, una fobia nel senso psicanalitico del termine.

Se le tasse si abbassassero, rischierebbero di impazzire, i progressisti e i liberal-tassatori: una ragione in più per tagliarle.

Marco Gervasoni, 27 giugno 2019

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