La bozza di riforma fiscale partorita dal parlamento, come è normale che sia per un governo di coalizione, contiene delle cose positive e altre meno. Mettere insieme Marattin con Speranza, Gelmini con Orlando, non è semplice. Non hanno la stessa visione del mondo, diciamo così. Vediamo le proposte.
Partiamo dalla proposta più interessante: la riduzione delle tasse per i contribuenti che hanno un reddito compreso tra i 28mila e i 55mila euro. Oggi si applica loro un’aliquota assurda del 38 per cento. Se a questa si sommano i contributi previdenziali, stiamo parlando di esproprio. Si dirà che i contributi si pagano oggi per servire una pensione domani: per avere un assegno in là negli anni, si rischia però di fare la fame oggi. Strano concetto di previdenza.
Comunque ridurre le imposte per questa fascia di italiani, innegabilmente, aiuta il ceto medio. Attenzione però, se il gettito che verrà a mancare da questa riduzione, sarà fatto pagare ad altri, avremmo risolto nulla. Un reddito da 60mila euro lordi rappresenta uno stipendio da tremila euro al mese nette: non mandiamolo all’inferno.
A proposito di classe media non si dovrebbero toccare i regimi forfettari (speriamo). Anche se per loro (prima critica) si è adottata una semplificazione che neanche l’illusionista Houdini avrebbe realizzato sul palco: l’obbligo per i forfettari di pagare le tasse non due volte l’anno come oggi, ma in sei diverse occasioni.
Buona l’idea (che Confindustria e la sinistra hanno sempre osteggiato) di ridurre di tre punti percentuali le imposte sui redditi da capitale e i cosiddetti redditi diversi. Mano sul fuoco, sperando di bruciarmela, che alla fine non lo faranno.
La proposta parla, inoltre, di cancellazione dell’Irap. Bene, benissimo. È una imposta calcolata in modo pazzotico: non riuscite a spiegarla a vostro figlio. Ma trattasi di semplificazione e non di riduzione fiscale, poiché è stato già scritto che i più di 20 miliardi che porta nelle casse delle finanze, verranno ripresi altrove. Tremate.