Rassegna Stampa del Cameo

Tav, quel “paletto 2038” che lascia perplessi

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Quando scrivo di Tav faccio sempre una premessa. Sono Sì Tav, non per i motivi (alti) espressi dal mainstream dominante, ma perché quando si inizia un’opera pubblica la si porta a termine, punto. Ho partecipato al corteo di Torino “Sì Tav” di sabato 6 aprile, perché quando c’è un corteo io mi ci ficco. È un piacere fisico, di solidarietà umana: ho amato i cortei della Fiom perché lì c’erano i miei colleghi dell’officina 5 di Mirafiori, per tanti anni mia casa famiglia. Qua perché ci sono i miei amici delle élite. Come apòta so di appartenere a una infinitesima minoranza che mai potrà organizzare un corteo, abbiamo idee e comportamenti talmente fuori dal coro del politicamente corretto dominante, di oggi come di ieri, che mai potremo fare massa. Per questo partecipo ai cortei degli altri, ideologicamente mi vanno tutti bene, come liberale nature ho rispetto per ciascuno di loro, purché non siano volgari o cattivi.

Per essere a Torino in tempo per il corteo il mattino, e al pomeriggio alla partita di calcio del mio nipotino Jacopo (4° elementare), sono rientrato in fretta e furia da Verona, dove avevo partecipato a un dibattito con il Procuratore di Venezia Antonio Condorelli, moderatore l’amico Stefano Lorenzetto, sul mondo della Rete, alla presenza di 600 studenti degli istituti professionali (potenziali lettori di Zafferano?). Ho sostenuto una tesi ferma, a favore della totale libertà della Rete, perché le peggiori fake news, e specie le fascistoidi fake truth sono quelle istituzionali, partorite dal Ceo capitalism dominante e dai loro maggiordomi dei media. Alle 9,30 ero da Ghigo per il caffè con la sua mitica panna, una Madamin (di seconda fascia) mi ha riconosciuto e ha bollinato “Si Tav” il mio giubbotto Rick Owens vintage (in questo le Madamin hanno occhio). Potevo sfilare.

Tutti cortei torinesi importanti partono proprio all’altezza del civico 9 di piazza Vittorio Veneto, dove sono nato. Qua si danno la struttura voluta dagli organizzatori, secondo un loro criterio strategico. Questo del Tav, era chiaramente un criterio classista, cioè in base al livello di reddito dei partecipanti. In testa le Madamin e gli industriali (molte donne, pochi uomini, la neve fresca del fuoripista primaverile li aveva portati a Sestriere). Poi, quattro di numero, giovanissimi figli della Ztl con un cartello molto fotografato (“Dopo la Mamma c’è solo la Tav”; ragazzi si dice il Tav, treno ad alta velocità). Quindi i pensionati, soggetto sociale, almeno nella Torino Fiat free, diventato importantissimo visto che funziona come bancomat-welfare per figli e nipoti in crisi, dopo le rapine istituzionali fatte alla classe media e povera dai premier succedutisi dal 2011. Chiudono i lavoratori, mogi e silenti, visto il degrado sociale nel quale il “sistema” li hanno fatti precipitare con il micidiale “pilota automatico” di Mario Draghi & Soci. Avrei voluti abbracciarli uno a uno, tanto erano abbacchiati.

Sul Tav ho letto tanto (mi manca solo l’ultimo libro di Marco Travaglio & Soci). Le teorie sottese sono impeccabili, ma una cosa (execution) non l’ho capita. Questa rete ferroviaria per essere un Tav deve comprendere un breve percorso da Torino al Tunnel con binari attrezzati per l’alta velocità (l’Italia li farà), una galleria di 57 km, una tratta di centinaia di km per l’alta velocità, tutti in territorio francese, per arrivare a Lione (km totali 235). Una persona normale riterrebbe che mentre si fa il Tunnel (da completarsi tassativamente entro il 2030), in contemporanea si costruisca il tratto attrezzato fino a Lione. Invece no, i francesi lo decideranno (sic!) nel 2038 (sic!). Giustificazione: le Ferrovie francesi sono troppo indebitate. Mi pare un’idiozia.

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