Da queste parti essendo esseri provvisti di ragione siamo tutti chi più chi meno convinti della superiorità dell’economia di mercato sul dirigismo parassitario, non però al punto da negarci gli effetti avversi di un post o ultra liberismo che del capitalismo classico ha sempre meno memoria e rispetto. Uno è la recrudescenza di un dirigismo liberista di stampo cinese o sovietico, orrendo, praticato dai sovrastati come la Ue e l’Oms, teorizzato da enti curiosi come il Wef, potentati del tutto insofferenti alle regole che impongono alle plebi nazionali: personalmente refrattari a limiti di sorta ma dall’approccio paternalistico-autoritario su tutto, si parli di clima, energia, sessualità, salute.
La parola d’ordine di questo socialismo ultracapitalistico è: “La narrazione è l’unica cosa vera e la decidiamo noi”. L’altra conseguenza è la saldatura tra poteri, ossia politica, informazione e spettacolo industriale; e fin qui, se non ci era arrivato il Fukuyama della “fine della storia”, c’era arrivato il Frank Zappa che faceva spettacoli con bambole gonfiabili che spruzzavano panna montata dagli orifizi; e non era una provocazione di cattivo gusto, se mai un vaticinio, una profezia: oggi simili epifanie avvengono non più con intenti sarcastici, viceversa del tutto convinti, coerenti con la comunicazione subculturale orientata al profitto totale. Come questa Taylor Swift, che è una astrazione artistica, una cantante senza canzoni, senza arte ma con molta parte, è quella dal pil superiore a un medio stato europeo, quella che “crea reddito” e creando reddito può influire, almeno così si dice, sulle elezioni della più grande democrazia al mondo.
Non abbiamo detto necessariamente la migliore, abbiamo detto la più grande, quella americana. Nel coacervo dei poteri post liberisti non conta quello che c’è ma quello che si dice ci sia, il miraggio, l’apparizione; conta la comunicazione e in questo senso lo spettacolo delle bambole viventi di panna montata è strategico al punto da investire i fondamenti democratici ed elettorali. Ora, si dà il caso che questa misteriosa Swift si riveli esattamente nella contraddizione del liberismo dirigista, statalista dei sovrastati e dei sovrapoteri trasversali: la storia del suo concerto londinese, per il quale ha preteso, e ottenuto, lei miliardaria, la scorta di Scotland Yard, scorta pubblica, è paradigmatica, ma, ecco un altro effetto perverso, nessuno la coglie nella sua potentissima carica grottesca: la saldatura tra potere e informazione che lo asseconda anziché discuterlo ha privato la plebe non si dica di indignazione residua, ma perfino di senso critico, di spirito critico: al suo posto, la risata della rassegnazione, il qualunquismo da “dove siamo arrivati”, le braccia allargate: e poi, tutti al concerto senza musica, senza canzoni, senza arte, concerto di pura comunicazione.
Una ragazzina di 35 anni, di cui a stento si ricorda un pezzo, può, tramite la mamma, perché oggi questi artisti virtuali usano tutti le mamme, le famiglie per tutelare i loro affari, può usare la polizia di un Paese democratico e sovrano come esibizione di potere. La faccenda è allucinante e in due parole si racconta come segue: la immaginifica Taylor, sbarca nel Regno Unito con uno spiegamento di forze che prevede l’aereo personale per sé, altri per i collaboratori, una serie infinita di camion per le attrezzature chiamate a montare uno spettacolo energivoro a livelli insuperati; Swift è paladina dell’integrazione, del migrantismo senza limiti, ma, siccome in Inghilterra gli immigrati islamisti hanno appena compiuto alcune stragi col pretesto dell’odio verso di lei, oltre alla scorta personale non transige sulla sicurezza pubblica che coinvolge sia i Servizi britannici che la mitica Scotland Yard: resistenze, perplessità, ma alla fine il potere della comunicazione vince su tutto: si spendono il sindaco di una Londra islamizzata, Sadiq Khan, di origini pakistane, il ministro di sicurezza Cooper, l’avvocatura dello Stato, fino al capo del governo Starmer: tutti beneficiari di biglietti ai posti d’onore, il potere della politica che rende omaggio al potere dello spettacolo. Ma ha senso distinguerli ancora?
La gente, a Londra come nel resto del mondo, allarga le braccia e ride; dice la gente-plebe: lei può. E non ci pensa più. Ne è sortita una polemica vana, come le mille di ogni giorno, opposizione all’attacco, laburisti “in imbarazzo” anche perché per sostenere il peso di politiche integrazioniste scellerate si risolve a tagliare il riscaldamento ed altri generi di sopravvivenza ai poveri. Ma è un imbarazzo che dura poco, un imbarazzo per dire: i poveri stanno al freddo ma pur che vadano al concerto di Taylor Swift e l’informazione di servizio dice: lei può cambiare la democrazia americana, lei è per Kamala Harris e per le cause giuste. Come quella per cui manda il jet personale per il mondo a raccogliere il fidanzato, e solo lui.
Ma sono i soliti del “fate come vi diciamo non come facciamo noi anche perché non potete”. E diventa difficile se non impossibile distinguere questi divi dello spettacolo industriale in funzione del ruolo, capire se si muovono da industriali, da artisti, da propagandisti o da testimonial del nuovo potere moralistico. Esercizio inutile, sono tutto questo, racchiuso nella funzione di alfieri della Narrazione “che è l’unica cosa reale e la decidiamo noi”. La plebe scuote la testa, allarga le braccia, ride. E va al concerto delle luci, dei fumi, dei miraggi, dei “valori” woke, concerto senza artisti, senza musica, senza arte. Ma tutto il mondo globalizzato è paese: se questa storia vi sembra esagerata, sproporzionata, se trovate da ridire sul governo inglese che fornisce la scorta pubblica a una strapiena di soldi, ricordatevi solo che da queste parti accade lo stesso all’incirca da due decenni per uno scrittore senza libri, di nome Saviano.
Max Del Papa, 16 ottobre 2024
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