Beato il Paese che ha come sottosegretario alla Cultura un Vittorio Sgarbi. Il suo parlare schietto, andando dritto al nocciolo dei problemi, oltre che la sua competenza indubitabile, sono un elemento vitale per chi deve poi fare la sintesi politica, e cioè in questo caso il ministro Gennaro Sangiuliano.
Anche ieri alla Scala, con il suo stile irruento e poco formale, Sgarbi ha colto il punto vero della questione: oggi l’opera lirica, che è uno dei patrimoni culturali per cui l’Italia è amata e studiata nel mondo (punto su cui amava insistere anche un melomane d’eccezione come il filosofo liberale Isaiah Berlin), è spesso travolta da elementi estrinseci che rischiano di falsarne la natura.
Questi elementi sono le “regie faraoiniche e incontinenti”, come si è espresso Sgarbi, che, più che al nocciolo musicale delle opere, badano a stupire e a sconvolgere lo spettatore. “Sconvolgimento” che è poi spesso quello presunto tale dettato dal politicamente corretto e dalle mode radical chic, gli “idola fori” di baconiana memoria del nostro tempo (la casistica delle aberrazione viste in questi anni sui palchi è tanto lunga da non potere essere qui ricordata). Da qui anche un lievitare dei costi per registi e cantanti, divette simili a popstar, e un taglio alla parte del budget dovuto alle maestranze, vero e proprio serbatoio di esperienze e competenze che ci invidia il mondo intero. In quest’ordine di discorso si inserisce anche la scelta di sovrintendenti non italiani, come l’attuale francese Domunique Meyer, il cui merito principale sembra quello di essere graditi ad un autoreferenziale star-system internazionale.
E chi se non il più liberal dei sindaci italiani, cioè Beppe Sala, poteva intestarsene la paternità? Un elemento di provincialismo che svalorizza quello che è appunto un patrimonio nazionale per eccellenza. È un ritorno al bello per il bello quello di cui anche in questo caso si è fatto portavoce Sgarbi, nell’ottica di quell’autonomia dell’arte che era il senso ultimo della grande Estetica crociana.
Ovviamente, qui non si vuole affermare una sorta di carattere “monumentale”, o conservativo, dell’opera d’arte, ma solo espungere da essa ciò che non le è proprio e che serve a svalorizzarla. Poi ben venga tutto il resto, compreso l’umano protagonismo dei tanti veri o presunti potenti che amano sfilare la sera di sant’Ambrogio, per la prima della stagione, nel più famoso teatro italiano.
Corrado Ocone, 8 dicembre 2022