Telegram, perché ora Amnesty tace sull’arresto di Durov?

L’arresto del fondatore del social network mostra il volto illiberale dell’Ue. E chi contestava la censura russa, ora non dice nulla

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pavel durov

Che con il caso Durov l’Ue abbia rivelato il suo volto illiberale dovrebbe ormai essere evidente a tutti.

Telegram è sotto attacco e ora tocca a Musk. Chi non si adegua sa a cosa va incontro. Il controllo dell’ informazione deve essere totale: sia per la guerra in Europa sia per le elezioni americane.

Ma c’è un aspetto in questa vicenda che serve anche a far luce su organizzazioni come Amnesty International. All’ epoca in cui Durov veniva censurato in Russia, Amnesty intervenne subito a sua difesa. Ora che l’attacco è partito dalla Ue: silenzio tombale Pura ipocrisia.

Paolo Becchi, 27 agosto 2024


Ecco cosa scrisse Amnesty International nel 2018:

Alla vigilia dell’udienza del tribunale distrettuale di Tagansky, a Mosca, che il 13 aprile dovrà pronunciarsi sulla richiesta del Roskomnadzor – l’organismo russo di controllo sui media – di bloccare l’applicazione di messaggistica Telegram per il suo rifiuto di condividere col governo le informazioni sugli utenti, il vicedirettore di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale Denis Krivosheev ha dichiarato:

“Cercando di bloccare Telegram, le autorità russe stanno lanciando l’ennesimo assalto alla libertà d’espressione online nel paese”.

“Negli ultimi anni le autorità russe hanno costantemente preso di mira gli ultimi pochi spazi rimasti a disposizione per esercitare la libertà d’espressione: hanno bloccato portali che le criticavano, imposto regole draconiane sull’archiviazione dei dati e dichiarato ‘agenti stranieri’ organi d’informazione registrati fuori dalla Russia”.
“Ora intendono colpire una delle più popolari applicazioni di messaggistica, solo perché ha avuto il coraggio e l’integrità di rispettare la privacy dei suoi utenti. Auspichiamo che il tribunale di Taganksy mostri allo stesso modo rispetto per la libertà d’espressione e non si pieghi alle richieste repressive del governo”.

Ulteriori informazioni
Nel 2017 il Roskomnadzor aveva chiesto a Telegram di rispettare la legge che obbliga tutti i fornitori di servizi online a registrarsi in Russia e di consegnare le chiavi della crittografia all’Fsb, i servizi di sicurezza federali.
Telegram ha accolto la prima richiesta ma il suo fondatore Pavel Durov ha rifiutato di conformarsi a quelle che ha definito “leggi incompatibili con le nostre politiche sulla privacy”.


Il caso in pillole:

  • Il 24 agosto Pavel Durov, fondatore di Telegram, viene arrestato a Parigi dove il suo aereo aveva fatto scalo all’aeroporto di Le Bourget.
  • La procura francese proroga il fermo senza indicare i capi di imputazione.
  • Il 26 agosto, dopo 48 ore, i pm emettono un comunicato per spiegare che Durov è accusato di 12 capi di imputazione: ovvero complicità in una serie di crimini commessi sulla sua piattaforma, tra cui frode, traffico di droga, pedopornografia, cyberbullismo, criminalità organizzata e promozione del terrorismo. La mancata moderazione dei contenuti, e l’omessa cooperazione con la polizia, lo renderebbe in sostanza complice di quanto avviene su Telegram dove, lo ricordiamo sono registrati 1 miliardo di utenti.
  • In una nota Telegram ha fatto sapere che la piattaforma “rispetta le leggi dell’Ue” e che il suo Ceo “non ha nulla da nascondere e viaggia spesso in Europa”.
  • La Russia protesta, accusando gli Usa di essere dietro l’arresto del padre di Telegram che è di origine russa (ora con cittadinanze varie, tra cui quella francese). Secondo Peskov l’arresto  “può essere considerato politico, se la Francia non fornisce prove serie della sua colpevolezza“.
  • Emmanuel Macron è costretto a precisare che l’arresto “non è un atto politico” ma segue una banale indagine avviata l’8 luglio e condotta dalla magistratura che è “indipendente”.
  • La custodia cautelare può durare massimo 96 ore, fino a domani 28 agosto.
  • Telegram è utilizzato moltissimo nei Paesi dove le autocrazie limitano le comunicazioni, riuscendo a garantire la privacy degli utenti. Ne fanno ampio uso gli eserciti e i blogger di Ucraina e Russia. Durov si è dichiarato “neutrale” in merito al conflitto.
  • Nel 2014 Durov entrò in conflitto con il Cremlino e fu costretto a lasciare la Russia: si era rifiutato di fornire alle autorità le informazioni sui profili di VKontakte degli attivisti della Rivoluzione arancione in Ucraina. Allo stesso modo si rifiutò anche di oscurare la pagina social di Alexei Navalny

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