Ancora una nottataccia, quella tra lunedì e martedì. Ancora un’intesa al fotofinish. Ancora una volta la maggioranza la sfanga. Il governo resta in piedi. Ma il conto per tenere in vita i giallorossi arriva a noi: e tra ciò che è stato già sborsato e ciò che probabilmente lo sarà, la sopravvivenza di Giuseppe Conte e soci potrebbe costarci almeno 15 miliardi.
Il calcolo è presto fatto. Il complesso accordo su Autostrade è proprio quel che ci si poteva aspettare dall’azzeccagarbugli di Volturara Appula: può vendercelo come un capolavoro nell’interesse pubblico, in realtà è un affare per i Benetton. E lo dimostra il rimbalzo di ieri in Borsa dei titoli di Atlantia.
In effetti, Giuseppi s’è scordato di indicarci quale somma dovranno sborsare Cdp e gli altri investitori istituzionali – ovvero lo Stato, ovvero noi contribuenti – per conquistare il 55% di Aspi. Tutto dipende da quanto sarà valutata la società: i Benetton avevano sparato 23 miliardi, i 5 stelle ritengono massimo 7. Incontriamoci a metà strada per un’ipotesi agevole: 10 miliardi. Quindi, le casse pubbliche dovrebbero tirarne fuori 5 e mezzo. A questi ne vanno però aggiunti altri 5, ovvero i debiti di Autostrade, che finiranno in capo ai nuovi investitori. E siamo a 10,5. Teniamo volutamente fuori dal conteggio altre due variabili: il costo degli investimenti per sistemare le infrastrutture e quei 7 miliardi di penale che incombono, nell’improbabile ipotesi in cui l’equilibrio si rompesse e si procedesse alla revoca della concessione.
Sullo sfondo, le beghe interne all’esecutivo: Conte che cerca di scavalcare Luigi Di Maio lanciando la sua Opa sul Movimento; Dario Franceschini in rotta con il premier; Nicola Zingaretti che s’accoda all’avvocato, di fatto scaricando Paola De Micheli, sempre più in bilico; Roberto Gualtieri che prova a fare da raccordo con i vertici di Atlantia, venendo messo all’angolo da Giuseppi; i renziani che ingoiano il compromesso ma lo snobbano con la stampa. E, alla fine, l’alba di un giorno nuovo: i veleni rimangono, comunque la crisi di governo è rimandata.
A quella di Autostrade, vanno poi affiancate altre due onerose partite su cui la maggioranza, per non saltare in aria, ha negoziato o potrebbe negoziare un compromesso a spese nostre: Alitalia e Ilva.
Dopo mesi di scontri, per la newco, fagocitata da Pd e 5 stelle, che hanno piazzato presidente e amministratore delegato, lo Stato ha messo sul piatto 3 miliardi. È l’acciaieria il prossimo dossier incandescente, evocato pure da Zingaretti. Il copione, immaginiamo, sarà lo stesso: liti, divisioni, colpi bassi, guerra di veline, Sergio Mattarella allarmato per i rinvii, esecutivo sull’orlo dell’implosione, attaccamento della poltrona che finisce per prevalere, accordicchio incassato, Mattarella soddisfatto.