Terremoto Napoli, tremano i Campi Flegrei. Due scenari: cosa può succedere?

Registrate oltre 150 scosse in poche ore. La più forte di magnitudo 4.4. L’Ingv frena gli allarmismi

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Notte di paura ai Campi Flegrei che questa notte hanno vissuto una fase di intensa attività sismica che ha scosso la tranquillità della città di Napoli e delle zone limitrofe, ricordando ai residenti il fenomeno del bradisismo, ben noto ma sempre fonte di nuova apprensione. Ieri sera è stato registrato un terremoto di magnitudo 4.4, l’evento sismico più potente degli ultimi quattro decenni per l’area in questione. In totale, sono state avvertite dai residenti qualcosa come 150 scosse in poche ore. Non sono stati registrati né feriti né danni agli edifici.

I soccorsi e la paura

La risposta delle autorità locali è stata tempestiva e mirata a fronteggiare l’emergenza. Oltre 50 operazioni sono state condotte dai vigili del fuoco per assicurarsi della sicurezza degli edifici, mentre è stato necessario evacuare 36 famiglie a Pozzuoli, provvedendo al loro alloggio temporaneo con 400 brandine distribuite per far fronte all’emergenza. “Possiamo aspettarci altri terremoti simili, c’è da aspettarselo”, dice il direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv, Mauro Di Vito. La scossa di ieri sera “è stata la più forte degli ultimi 40 anni”.

Perché i Campi Flegrei preoccupano

Il fenomeno del bradisismo, tipico della zona dei Campi Flegrei, comporta variazioni dell’altezza del suolo dovute all’attività vulcanica sottostante. Sotto il mare e sotto la terra, infatti, è attiva una caldera di 13 km di diametro che in gran parte insiste nel golfo di Pozzuoli. Episodi storici, come quelli avvenuti negli anni ’82-’84, sono stati ben più gravi di quelli odierni: hanno visto sollevamenti del suolo fino a 9 cm al mese che portarono ad un innalzamento del suolo di 3,5 metri e fino a 1300 eventi sismici al mese.

La crisi bradisismica attuale, iniziata nel 2005, ha sì visto un’intensificazione dell’attività sismica, culminata nella scossa di magnitudo 4.4 di ieri sera, e viene considerata una fase ascendente del fenomeno, senza però un’apparente accelerazione nel sollevamento del suolo. Rispetto al passato, infatti, la velocità di sollevamento si attesta a 2cm al mese e negli ultimi 30 giorni sono stati registrati 450 eventi. Inoltre, fa sapere l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia in una nota, al momento “non si registrano variazioni di andamento nelle deformazioni orizzontali o deformazioni locali del suolo diverse rispetto all’andamento precedente”.

Certo l’attenzione è alta. Lo sciame sismico di ieri sera “ha fatto registrare in via preliminare circa 150 terremoti con Magnitudo durata (Md) = 0.0 (95 localizzati) e una Magnitudo massima (Md) di 4.4 (±0.3). L’evento di Md 4.4 è stato il più energetico tra quelli registrati dall’inizio dell’attuale crisi bradisismica iniziata nel 2005. L’epicentro è collocato all’interno della Solfatara ad una profondità di 2.6 km“.

I parametri geochimici misurati dalle stazioni di controllo (Temperatura e flussi di anidride carbonica) non registrano intanto variazioni significative rispetto agli ultimi mesi, fatto salvo per il ben noto incremento di temperatura e pressione che caratterizza il sistema idrotermale. Tuttavia, l’Ingv non può escludere “che si possano verificare altri eventi sismici, anche di energia analoga con quanto già registrato durante lo sciame in corso”.

Allo stato attuale il livello di allerta dei Campi Flegrei è giallo, come stabilito dal Dipartimento della Protezione Civile, sulla base dei risultati del monitoraggio e delle valutazioni espresse dalla Commissione Grandi Rischi. Tale livello, a differenza del livello di allerta “verde”, che corrisponde all’attività ordinaria del vulcano, è indice della variazione di alcuni dei parametri monitorati dall’INGV.

Cosa può accadere, adesso?

Non è la prima volta che l’attenzione si focalizza sui Campi Flegrei. In fondo 1,3 milioni di persone abitano in quest’area potenzialmente pericolosa e su cui gli scienziati, da tempo, lavorano per prevedere scenari futuri. Lo scorso settembre, dopo uno sciame sismico simile a quello attuale, Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), aveva spiegato ai deputati della Commissione Ambiente della Camera i dettagli di un fenomeno che si è risvegliato oltre dieci anni fa.

Pochi giorni fa, invece, di nuovo audito dalla Commissione, Doglioni aveva assicurato che non vi fosse “nessuna evidenza di magma che sta risalendo”. “Quello che sappiamo – aveva spiegato – è che c’è una camera magmatica come in tutti i vulcani, in profondità a 7-8 chilometri. Ipotizziamo che ci siano anche dei livelli più superficiali, ma la loro quantità e dimensioni sono abbastanza ignote”.

Lo scorso settembre, Doglioni aveva anche presentato agli onorevoli due possibili scenari futuri per i Campi Flegrei. Il primo comporterebbe una conclusione tranquilla della crisi bradisismica attuale, simile a quanto accaduto durante la crisi del 1982-84. Il secondo, più allarmante, prevede un’eruzione simile a quella del 1538 che registrò 70 eruzioni esplosive avvenute nei Campi Flegrei, con gravi conseguenze per la popolazione circostante. “È un’evoluzione che non conosciamo e che stiamo monitorando. Il peggior scenario, attualmente, prevede un’eruzione come quella del Monte Nuovo”, aveva spiegato Doglioni. Se succedesse, “non sappiamo né quando né dove, potrebbe avvenire e, per quanto piccola, provocherebbe un disagio sociale”.

L’Ingv frena l’allarmismo

Lo scorso aprile, però, l’Ingv era intervenuto per frenare gli allarmismi che si stavano diffondendo sui media. “Una delle caratteristiche della caldera flegrea, e delle caldere in generale, è la difficoltà di stabilire a priori l’area in cui si aprirà una bocca eruttiva e questo potrebbe determinare una maggiore incertezza sull’individuazione delle aree potenzialmente esposte ai fenomeni pericolosi”, si leggeva in una nota. Tuttavia “la probabilità che la prossima eruzione sia del tipo” catastrofico “è bassissima”. Anche perché, affinché “si verifichino queste eruzioni di grandissima scala è necessario che una enorme quantità di magma entri nel sistema. Questo genererebbe dei segnali macroscopici che non sfuggirebbero né al nostro sistema di monitoraggio, ma neanche a chi vive nell’area. Basti pensare che prima dell’ultima epoca di attività, in cui si sono verificate 27 eruzioni esplosive con un volume di magma emesso in totale inferiore a 3 km cubi, l’area compresa tra Monte Nuovo e la Pietra si è sollevata di circa 50 m”.

In ogni caso, anche se – scriveva ad aprile l’Ingv – tutti i dati “non mostrano evidenze dell’imminenza di una eruzione vulcanica, tantomeno di grandi proporzioni”, è comunque difficile pensare che la situazione ai Campi Flegrei possa tornare alla normalità. “È impossibile che i Campi Flegrei si spengano – diceva Doglioni – perché sono un vulcano attivo”.

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