Economia

Terremoto trasporti e logistica: si fermano porti e ferrovie. Cosa sta succedendo?

Tsunami di scioperi nei porti americani e indiani e una serrata delle ferrovie canadesi. Caos globale: un’unica regia?

caos trasporti © Mani_CS2 e teeraphonphooma tramite Canva.com

I portuali americani annunciano il blocco a tempo indeterminato per sciopero di tutti i porti della East Coast Usa, la Costa atlantica, probabilmente a partire dal primo ottobre prossimo. All’altro capo del mondo in India, i 12 maggiori porti del Paese, si fermeranno a partire dalla prossima settimana, per la precisione il 28 agosto, di fatto paralizzando il flusso di import ed export in un momento delicatissimo in cui l’India è fra l’altro la base logistica senza sanzioni, per la flotta russa. E infine, il Canada, dove le due principali compagnie ferroviarie specializzate nel trasporto merci e impegnate nell’approvvigionamento di industrie strategiche negli Stati Uniti, hanno deciso di fatto una serrata, tagliando fuori 9000 lavoratori aderenti al sindacato Teamsters dalle trattative per il rinnovo del contratto e giustificando la loro scelta con la necessità di scongiurare agitazioni a oltranza e blocchi reiterati nel servizio ferroviario.

Confermato per il primo ottobre il blocco dei porti Usa

Come anticipato su questo sito avevamo preannunciato le conseguenze potenzialmente devastanti dello sciopero dei portuali americani della Costa atlantica e del Golfo; ora con gli altri due blocchi, in India e nei collegamenti ferroviari fra Canada e Stati Uniti, rischia davvero di saltare il banco a livello mondiale frantumando gli equilibri già fragilissimi nella catena logistica e negli approvvigionamenti di materie prime così come di prodotti finiti in particolare negli Stati Uniti. Al punto che i complottisti di professione incominciano a chiedersi con sempre maggiore insistenza se dietro a questa ondata di manifestazioni sindacali a fortissimo impatto anche sulle attività industriali di alcuni gangli strategici per l’Occidente non si celi una regia coordinata e una strategia internazionale.

Come detto, il primo focolaio era stato acceso dai portuali della costa Atlantica degli Stati Uniti che potrebbero dal primo ottobre prossimo incrociare le braccia ed entrare in sciopero provocando quello che gli esperti del settore della logistica e dei trasporti, definiscono un vero e proprio tsunami. In assenza di un accordo sul nuovo contratto di lavoro che scadrà il 30 settembre, i lavoratori di banchine e terminal non attenderanno neppure 24 ore prima di entrare in sciopero e bloccare, con effetti e ricadute disastrose, tutta la portualità della costa orientale degli Stati Uniti. Secondo un report di Sea Intelligence due settimane di blocco potrebbero richiedere almeno tre mesi per un ritorno alla normalità e un riequilibrio della catena logistica. I volumi di movimentazione sulla costa orientale degli Stati Uniti si attestano su 2,3 milioni di TEU in ottobre, sulla base di stime storiche, che si traducono in 74.000 TEU al giorno, di cui 36.000 in importazione e 38.000 in esportazione. Solo per i vuoti, uno sciopero significherebbe l’impossibilità di caricare 20.000 TEU al giorno.

Nei porti indiani sciopero a tempo indeterminato

Ma in questi giorni si è acceso un secondo focolaio di tensione: i lavoratori portuali dei 12 maggiori porti indiani hanno deciso di scioperare a tempo indeterminato a partire dal 28 agosto, dopo interminabili trattative salariali che non sono approdate a risultati concreti. Il precedente contratto di lavoro è  scaduto nel dicembre 2021 e in oltre due anni non è stata raggiunta neppure una base di intesa. L’India che, post Covid, ha ulteriormente accelerato la sua crescita è considerata oggi la più importante base logistica e industriale del sud est asiatico.

L’India ospita 12 porti principali che sono gli assi portanti della ragnatela degli oltre 200 che costituiscono l’infrastruttura portuale indiana. Questo le ha consentito di aumentare del 50% in dieci anni il volume cargo e del 102% la propria capacità portuale, ossia le merci che alimentano il metabolismo economico indiano. In tal modo due porti indiani, quello di Mundra e quello di Jawaharlal Nehru, sono riusciti a entrare nella classifica dei 30 grandi porti globali. Entrambi si trovano sulla costa occidentale dell’India. Il primo vicino al Pakistan, il secondo presso l’area metropolitana di Mumbai. La politica di Nuova Delhi si sta facendo più intraprendente e intenzionata ad approfittare dell’indebolimento delle tratte storiche che passavano da Suez, come hanno dimostrato anche gli accordi firmati con l’Iran per la costruzione e gestione di nuovi scali portuali. Sta anche aumentando la domanda proveniente dalla stessa India, che rappresenta un mercato enorme, molto interessante per le compagnie di Shipping.

Nell’ultimo Container Port Performance Index (CPPI), pubblicato dalla Banca Mondiale e da S&P Global Market Intelligence, i porti indiani hanno raggiunto posizioni di rilievo a livello globale. Nove porti indiani sono stati inseriti tra i primi 100 a livello globale. Il porto di Visakhapatnam si è assicurato la posizione più alta tra questi, classificandosi al 19° posto a livello mondiale nel 2023. Anche il porto di Mundra ha compiuto progressi significativi, salendo al 27° posto nella classifica mondiale. Altri sette porti indiani, che si sono assicurati un posto nella top 100, sono Pipavav (al 41° posto della lista), Kamarajar (47), Cochin (63), Hazira (68), Krishnapatnam (71), Chennai (80) e Jawaharlal Nehru (96).

In generale è in atto una diversificazione commerciale in Asia, che sta spingendo le principali compagnie di navigazione a rivedere e potenziare le loro rotte e servizi proprio nell’area indiana approfittano di una crescita delle performances, di un miglioramento degli standard di efficienza e di un minore congestionamento rispetto ai porti della Cina, di Singapore de dell’intero sud est asiatico.

Si fermano i treni merci fra Canada e Stati Uniti

Il terzo focolaio riguarda le ferrovie canadesi e in particolare le due compagnie che garantiscono il trasporto merci fra Canada e Stati Uniti.

Le due principali ferrovie merci canadesi hanno chiuso le loro attività, secondo quanto dichiarato dai dirigenti delle due società, collocando fuori servizio 9.000 membri del sindacato Teamsters che operano sui treni.

Quasi un terzo delle merci movimentate dalle due ferrovie – Canadian National (CN) e Canadian Pacific Kansas City Southern (CPKC) – attraversa il confine tra gli Stati Uniti e il Canada e, a seconda di quanto durerà il blocco dei trasporti, si potrebbero determinare stop in attività di diversi comparti economici statunitensi, tra cui l’agricoltura, l’industria automobilistica, l’edilizia e l’energia.

“La CPKC sta agendo per proteggere le catene di approvvigionamento canadesi e tutte le parti che sarebbero colpite da un’ulteriore incertezza e dai disagi più diffusi che si verrebbero a creare nel caso di una conflittualità permanente, causando una potenziale interruzione del lavoro durante il periodo di picco delle spedizioni autunnali”. E’ quanto affermato in una nota diffusa da Canadian Pacific.

L’interruzione dei servizi ferroviari potrebbe avere un impatto immediato su molte industrie che dipendono dalla libera circolazione delle merci attraverso il confine.

Ad esempio, alcuni stabilimenti automobilistici statunitensi potrebbero fermare temporaneamente la produzione perché non in grado di ricevere motori, trasmissioni o stampaggi dagli stabilimenti canadesi. Gli agricoltori statunitensi potrebbero trovarsi a corto di fertilizzanti e gli impianti di trattamento delle acque vicino al confine canadese potrebbero esaurire il cloro che usano per purificare l’acqua.

È la prima volta che le due principali ferrovie canadesi chiudono contemporaneamente a causa di una vertenza sindacale. La più recente interruzione del lavoro nel settore è stata uno sciopero di 60 ore alla Canadian Pacific nel 2022. Prima di allora, era stata la Canadian National a fermarsi per nove giorni nel 2019.

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