La Commissione Affari costituzionali del Senato ha bocciato l’emendamento proposto dalla Lega che prevedeva l’eventualità di un terzo mandato per i governatori di regione. Un no arrivato dopo che, appena poche ore prima, la stessa Lega aveva ritirato un ulteriore emendamento che proponeva di superare l’attuale limite di due consiliature per i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 15 mila abitanti.
Decisivo, in tale ultimo caso, era risultato il parere contrario espresso dal governo, nonché le eventuali divisioni che l’emendamento in questione avrebbe determinato in seno alla coalizione di centrodestra, ma anche tra le opposizioni. Come del resto poi puntualmente accaduto con il voto sulla proposta inerente i presidenti di regione.
Il terzo mandato non s’ha dunque da fare. Così ha deciso la politica. Una scelta innanzitutto illiberale, che di fatto negherà ai cittadini la possibilità di eleggere democraticamente sindaci e governatori a loro graditi. Non solo. Perché la decisione assunta trasversalmente dalla stragrande maggioranza delle forze politiche diviene ancor più illogica se raffrontata al metodo con cui viene sancita oggi l’elezione dei parlamentari, che, ricordiamolo, non prevede alcun limite massimo al numero di legislature consecutive possibili. Orbene, se a un senatore o a un deputato è riconosciuta la possibilità di rielezione per un numero illimitato di mandati parlamentari, non si capisce per quale strano motivo lo stesso diritto non possa essere garantito anche a governatori e sindaci.
Di più: la scelta di affossare la proposta di un eventuale terzo mandato assume una valenza ancor più antidemocratica se si pensa al fatto che primi cittadini e presidenti di regione vengono eletti direttamente dal popolo nella più alta espressione della sua sovranità. Al contrario, l’elezione dei parlamentari, così come avviene oggi, è interpretazione di una forma di democrazia mutilata, dal momento in cui deputati e senatori vengono designati direttamente dalle segreterie dei partiti, lasciando in capo al cittadino solo la mera illusione della libera scelta dei propri rappresentanti in Parlamento.
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Ragion per cui, respingere gli emendamenti che avrebbero potuto garantire la possibile ricandidatura e la conseguente eventuale rielezione a governatori e sindaci equivale di per sé a una grave limitazione della sovranità popolare. Una decisione intrisa di incoerenza, ipocrisia e falso moralismo che manda in cortocircuito la democrazia.
Salvatore Di Bartolo, 24 febbraio 2024
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