Acquistare un’opera d’arte per sé, come un semplice libro, è diverso da qualunque altro acquisto. E in piccoli mercati, a porta Portese come al Mercante in fiera a Parma, la scoperta di un’opera sconosciuta, di una prima edizione di un classico del Novecento, di un invio con l’autografo dell’autore, è una soddisfazione intellettuale rara e di significato ideale, non materiale. Per questo ogni tentativo, in scambi veloci, d’introdurre forme di pagamento immateriali, attraverso carte di credito, ed escludendo il contante, è uno strumento coercitivo per spegnere l’entusiasmo e rallentare la velocità della trattativa.
L’occhio vede, riconosce, desidera o, semplicemente, risponde a una conoscenza fatta di studio e di esperienza. Perché trasformare l’agnizione, la scoperta, in una operazione commerciale, senza velocità senza poesia? Il danaro trasforma il bene materiale in valore ideale: tu paghi un corpo e acquisti un’anima. Quante cacce, quanti slanci, quanti entusiasmi, nella scoperta di ciò che prima non esisteva, e che nasce grazie all’occhio fecondatore. E perché regolarizzare ciò che non sarebbe esistito senza la forza creativa dell’intelligenza? Le opere d’arte diventano quello che sono grazie alla intuizione che le fa esistere, dal limbo dove erano confinate e nascoste. Di quel miracolo di “nascimento” non deve restare traccia se non nel sogno, nello sguardo di intesa fra due uomini, comunque complici, quello che sa e quello che non sa. Da loro nasce una vita nuova. La scoperta che rientra nella storia.
L’ossessione per la cosiddetta “tracciabilità” dei pagamenti è, da un lato, un grande affare per le banche che incassano migliaia di euro in commissioni, e, dall’altro, un espediente per lo Stato che esercita un controllo totale sulla vita delle persone. Anche sui misteriosi scopritori. Certo, le transazioni elettroniche hanno un costo e le banche non lavorano gratis, ma il cittadino dovrebbe essere lasciato libero, almeno per piccole somme (come i tanto dibattuti 10 mila euro di questi giorni), di poter disporre del proprio denaro liberamente, anche a tutela della propria privacy, senza per questo ricorrere alla “mediazione” di una banca.
E c’è un altro problema. Che ha a che fare con la vita di tutti i giorni. Ci sono migliaia di italiani (per lo più commercianti, artigiani, lavoratori autonomi) che per diverse ragioni, avendo avuto contenziosi con le banche, non possono oggi avere non solo una carta di credito, ma neanche un conto corrente. Per queste persone il denaro contante è il solo mezzo per i pagamenti. Infatti, il “diritto al conto corrente” in Italia non è ancora legge. E le banche, insieme allo Stato, hanno il potere di vita e di morte (dal punto di vista finanziario) sulle persone. Potrò essere libero, tra l’altro, di aiutare un amico in difficolta dandogli 10 mila euro in contanti senza per questo farlo sapere allo Stato, o acquistando un’opera che desidera cedere? Vogliamo tassare anche la solidarietà o il mutuo soccorso?
E poi, francamente, con 10 mila euro cosa devi riciclare? Siamo diventati uno Stato di polizia fiscale. Facile puntare il dito contro gli evasori, ma nessuno che dica qualcosa sul fatto che in Italia oggi, se guadagni 10 mila euro, 5 mila (quando va bene) ritornano allo Stato sotto forma di varie imposte. Hai un socio, lo Stato, che si prende la metà degli utili e pretende d’importi come e quando spendere i tuoi soldi.
Vittorio Sgarbi, 31 ottobre 2022