Una scadentissima e polarizzante informazione ruota intorno al caso della prima transgender in gara nella storia olimpica e paralimpica, Valentina Petrillo: i giornali non comprendono (o fanno finta di non comprendere) che sostenere a spada tratta questa inclusione non significa essere progressisti, significa essere misogini.
Nei prossimi giorni Valentina Petrillo, atleta italiana diventata donna nel 2019, parteciperà alle gare paralimpiche, e questa è ormai notizia nota.
Quello che però risulta ancora disperso negli slogan e nelle sterili accuse di transfobia, è un dibattito serio sul tema.
Le principali testate giornalistiche si limitano a rilanciare stralci di interviste strappalacrime a Petrillo, evidenziando le continue vessazioni che l’atleta ha subito nel suo percorso di transizione. Ma è troppo facile banalizzare una decisione sportiva di questa rilevanza schermandosi dietro la discriminazione, che qualsiasi persona di buon senso condanna senza se e senza ma.
Ciò che i giornali omettono, per evitare spinose polemiche, è che far concorrere un’atleta biologicamente uomo contro donne nate donne genera anch’essa discriminazione: Repubblica, Corriere e compagnia si guardano bene dall’evidenziare come anche Melanie Berges, atleta spagnola già campionessa europea e rimasta esclusa perché qualificatasi dietro Petrillo, sia stata discriminata a causa della decisione del comitato paralimpico.
E anziché porre una lente d’ingrandimento sul tema, valutando quelle che possono essere delle valide soluzioni per garantire un’equità che sembra ormai a rischio, i giornali ricamano sul vittimismo. “Corri contro il pregiudizio, corri contro la transfobia!”. Ma de che?
Sostenere che un individuo biologicamente uomo abbia un vantaggio a livello corporeo qualora dovesse gareggiare contro le donne ormai è quasi un tabù, un atto degno della peggior discriminazione, a detta di molti. Gli stessi che però non si fanno problemi a discriminare le atlete donne.
Gli stessi che ormai generano un timore reverenziale nei confronti degli organi di informazione, i quali, certamente volendo evitare ritorsioni mediatiche, toccano un tema scottante giocando di sponda e senza serietà.
Ma per fortuna, il paese reale, questo lo vede.
Alessandro Bonelli, 1° settembre 2024