Uno dei più grandi fondi del mondo, Kkr, ha deciso di scalare Tim, la prima società di tlc italiana, con una classica operazione di mercato: un’offerta pubblica di acquisto. Il gruppo ha un valore di Borsa di poco più di 7 miliardi. Noccioline, nel mondo finanziario. E gli americani offrono per l’intero capitale quattro miliardi di premio, e cioè 11 miliardi. Oggi in Borsa il titolo farà un bel balzo. Ma occorre sempre considerare che esso era ai minimi. Kkr sarebbe disponibile, una volta visti i conti, ad andare fino in fondo e ad accontentarsi anche del 50% più un’azione. Insomma di comandare. Più che una scalata sarà un’avventura. Altri due fondi anglosassoni, Cvc e Advent, potrebbero essere interessati. E poi gli attuali soci di maggioranza relativa, i francesi di Vivendi, che con il 24% ritengono di essere i padroni, vorranno giocare le loro carte. A proposito, si capisce la loro irrequietezza delle ultime settimane: avevano sentito aria di scalata.
In attesa di capire come si svilupperà la prossima battaglia su Telecom occorre fare qualche considerazione sintetica di contesto.
1. Difficile pensare che il governo Draghi non fosse al corrente della scalata. Kkr è già presente con il 37,5% nella società di Telecom (Fibercop) che controlla la rete secondaria (quella che porta il doppino o la fibra dalla strada a casa). Il presidente della Telecom, Salvatore Rossi, a cui è stata consegnata l’offerta, nella sua precedente vita era il direttore generale della Banca d’Italia, da cui proviene il premier. Le telecomunicazioni sono comunque regolate e sottoposte a poteri speciali dell’esecutivo con cui non conviene litigare. Kkr fa parte di quella finanza americana i cui ambienti sono, come scrivono Lodovico Festa e Giulio Sapelli in un libro appena uscito, i punti di riferimento geopolitici del premier.