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Tim, quando liberisti e sovranisti si contraddicono

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La questione Tim in fondo è semplice. C’è un azionista, il gruppo che fa capo a Vincent Bolloré, che ne controlla una buona fetta di capitale, circa il 24 per cento. Il resto, cioè la maggioranza, è sul mercato. Negli ultimi anni il finanziere di origini bretoni si è comportato come dominus assoluto dell’azienda. Se i conti, la redditività, e soprattutto i titoli avessero fatto segnare un boom, avrebbe potuto continuare indisturbato. È la legge del mercato e delle public company. In realtà i francesi perdono circa 1,5 miliardi rispetto al loro investimento iniziale. E dunque i loro atteggiamenti ondivaghi non sono perdonati.

Da questa defaillance nasce l’inserimento del fondo americano Elliott, gestito da papà e figlioletto Singer. Ha iniziato a comprare azioni, ne dovrebbe avere una quota vicino al 10 per cento e vorrebbe aggregare altri fondi per scalzare i francesi.

È in corso da qualche settimana una guerra finanziaria, che solo la distrazione indotta dal caos politico relega nelle cronache finanziarie. Per molto meno – il controllo da parte di Fincantieri dei cantieri francesi Saint-Nazaire ostacolato da Macron – i nostri media hanno sfoderato titoloni.

Terzo ed ultimo elemento della partita è la Cassa depositi e prestiti guidata da due banchieri provenienti dal mercato e oggi in scadenza, Costamagna e Gallia. Nei giorni scorsi, pare dopo una consultazione anche politica, hanno deciso di comprare un 5% della Tim. Non molto, ma significativo nel campo di battaglia, perchè si andrebbe a schierare con gli americani.

Il sottofondo è la rete di Telecom: quella che l’unico imprenditore privato (Marco Tronchetti Provera) che ha avuto la ventura (o la sfortuna) di guidare l’allora Telecom voleva tenersi stretta. Si tratta della spina dorsale dell’azienda. È abbastanza chiaro che un corpo vivo e per quanto in forma, senza spina dorsale rischi di brutto. Ebbene oggi improvvisamente tutti la vogliono cedere.

Avranno fatto le loro valutazioni, finanziarie, industriali e politiche, e non ci permettiamo di discuterle. Ma due considerazioni di contesto sulla vicenda ci vengono spontanee.

1. Il fondo Elliott è un fondo interventista, e cioè entra nelle aziende che ritiene sottovalutate per cambiarne il corso. Soprattutto quello azionario. Fa un ottimo lavoro, retribuisce bene i suoi soci e stimola le imprese a darsi da fare per non essere scalate. Fino a qualche settimana fa analisti e politici l’avrebbero definito un fondo avvoltoio.

Qualcuno li ha definiti la patologia del capitalismo neoliberista. Noi pensiamo, al contrario, che siano una linfa del mercato, che mettano tutti in sana competizione e allerta. Lo abbiamo scritto ieri e lo pensiamo oggi. Ma dove sono finiti tutti questi antiliberisti? Per aggravare la situazione per costoro (non per noi) ricordiamo che non si tratta di un azionista stabile, interviene, migliora, investe e quando puó va altrove.

Noi diciamo: ben venga Elliott, ma i molti che oggi lo incoraggiano contro i cattivi francesi, assomigliano tanto a quei vecchi principi italiani che cambiavano straniero in funzione dei loro piccini interessi. Insomma non crediamo che si siano convertiti alle ragioni del mercato, ma al patto italico per cui il nemico del mio nemico è mio amico.

2. E questo ci porta alla seconda considerazione riguardo alla Cassa depositi e prestiti. Improvvisamente si scopre nazionalista. Diciamo che nel passato su altri dossier, da Alitalia a Italo solo per citarne alcuni, non lo è stata altrettanto. Per i sovranisti e anche un po’ trumpisti è un buon segnale, forse un po’ opportunistico, ma confortante dal loro punto di vista. Eppure anche in questo caso vi un’altra contraddizione e cioè quella di vedere i sovranisti che si alleano con gli avvoltoi, per di più turbo-capitalisti, americani.

Vi è solo una morale. Tim resta una trappola. La fu per Prodi e Ciampi che la privatizzarono con i piedi, o meglio con il nocciolino duro a guida Ifil. La fu per Colaninno e Gnutti che la scalarono e poi la dovettero mollare a Tronchetti. Anche per lui fu un disastro, non tanto per i conti, ma per la bufera giudiziaria, da cui risultò totalmente innocente, che lo coinvolse, quasi fosse Al Capone.

È stata una piccola Cambogia anche per i francesi. Ci voleva Elliott, gli americani.

In fondo se non ricordiamo male della stessa nazionalità di At&t con cui Tronchetti voleva allearsi e a cui fu impedito la bellezza di undici anni fa. Stesso periodo in cui Tronchetti parlava di convergenza tra contenuti e tlc e che oggi i francesi hanno venduto come grande intuizione strategica.

Nicola Porro, Il Giornale 7 aprile 2018