Continua il momento magico del sindaco Beppe Sala e della sua metropoli tascabile, inclusiva, percettiva: più il primo cittadino si spolmona a dire che la città è sicura, vivibile, un gioiello e più la cittadinanza maranza lo conforta: dopo i roghi al Corvetto, dopo il Capodanno maranza, dopo la effervescenza diffusa, ieri un migrante stanziale, risorsa potenziale, in piena via Padova tira fuori il ferro e si mette a sparacchiare allegramente per aria. Neanche 24 ore prima il primo cittadino con una radio aveva regalato le solite perle di repertorio: degli immigrati abbiamo bisogno, ricordatevi il pizzaiolo egiziano.
No, qui bisogna ricordarsi di forte Alamo. Non so se avete presente via Padova, questo lungo nastro d’inferno che parte ancora normale da piazzale Loreto, ma più lo percorri e più caschi in una deformazione: lo spazio diventa tempo, il tempo diventa spazio, come nel “Parsifal”. Cioè più cammini e più ti senti risucchiato in epoche remote, tribali, la morfologia cambia, sempre meno vetrine e più vetri opachi dietro i quali, o davanti ai quali, stazionano, bivaccano le cose buone dal mondo che piacciono a Sala: arabi, afro, latinos, asiatici e tutti hanno un motivo per sbandare, quasi tutti. Cammini ancora e di Italia a un certo punto non ne trovi più. Non senti più il linguaggio. Non vedi più una bottega, una faccia: solo veli e respiro acre di spezie, sei a Beirut, nei sobborghi del Cairo, di Marrkesh, di Gaza. Ti senti malguardato, se sei femmina non ne parliamo, ti senti addosso la sensazione della fragilità, della paura e fai bene: garantito che prima o dopo qualcuno t’investe. Speriamo senza pistola.
Se la fai in macchina ti guatano, sospettosi e arroganti e tu ti chiedi ma come, due minuti fa ero in piazza Loreto, che è successo? Poi capisci: qui non è più casa mia, non è il mio posto, dov’è finita la metropoli tutta abbracci tascabili? Qui c’è solo un non-luogo di filo spinato, meglio non scendere, meglio filarsela e guadagnare Crescenzago, nunc redit animus, si fa per dire perché anche lì… Però almeno non sentire più quella corrente di pericolo e di violenza possibile, pronta a esplodere. Ed esplode: il video è allucinante nella sua normalità, nella sua fatalità: musica araba sotto, quelle rotture di coglioni di lagne battute, scandite, e uno davanti a una bettola, chiaramente andato, circondato da altri non più lucidi, tira fuori il revolver e parte con i colpi. In via Padova si spara! E allora? Dov’è la novità? Difatti nessuno sulla scena si scompone, altri sbandano, ballano sul tattarà di quella musica non musica, circolare, colonna sonora della città fatta a inferno, rinnegata, smentita con i suoi abbracci e la sua inclusione diffusa.
Ma niente paura, la sinistra degli umani, che va da Schlein a Salis passando per Majorino dirà subito che erano a spari salve, era un gioco e comunque nessuno si è fatto male, comunque la colpa è nostra, che li provochiamo col nostro benessere, quale? Che non abbiamo saputo integrarli, ovvero più gli dai e più gli devi dare, più gli concedi e più sei “Italia di merda” perché saranno migranti, ma stupidi no: capiscono che gli conviene in questa curiosa sindrome di Stoccolma globale, chi ospita ostaggio di chi è ospitato, e per di più si incolpa, si censura e si castra.
Vi piaccia o non vi piaccia, dice il sindaco fauno, dei migranti abbiamo bisogno e su questo dice o gli scappa il vero: ne abbiamo bisogno per pagarli meno, dietro ogni pizzaiolo egizio o barbiere pakistano non c’è tanto il rifugio dalle guerre, non c’è l’abbraccio solidale ma il calcolo di stampo preindustriale: questo lo pago poco, lo garantisco a chiacchiere ma alla maniera schiavistica e tanto peggio per gli italiani che restano fuori. Tanto le formule bugiarde degli inganni e dei miraggi non mancano: è solo percezione, stiamo tutti bene, piaccia o non piaccia, il mondo va così. Ma fu Emma Bonino ad ammettere serenamente che gli sbarchi alluvionali erano organizzati “perché ci fa comodo”, dopodiché ringraziò per l’ennesima volta Soros, il filantropo.
Via Padova siamo noi, per dire l’esplosione di un sistema di finto garantismo, di falsa democrazia tra parassitismo e sfruttamento. Siamo noi nella rassegnazione e paura di troppi, nella complicità di troppi, nella miopia di certi, nel cinismo dei soliti, nello scaricabarile di chi rimuove con arroganza la realtà: tutto bene, tutto sotto controllo, solo percezione, solo strumentalizzazione, pensino a pagarli di più quei i fantaccini delle forze dell’ordine. Nel video con l’Africa che sparacchia per aria nel Far West di via Padova non si vede arrivare una pattuglia per almeno un minuto: segno che nei dintorni non c’erano, via Padova è infinita, un rettilineo dell’inferno ostruito da un traffico diabolico, è puro caos della Storia. E della geografia. Alla fine saranno arrivati, certo, ma chi glielo la fare? Per disarmare il balordo strafatto e sentirsi dire che sono dei boia, che meritano la galera loro?
A via Padova si spara, poi ci si abbraccia, e allora? Non è un gran momento per il sindaco manager e neppure per i suoi tifosi dementi secondo i quali a dire le cose come stanno si alimenta il fascismo. Ma ci andassero in via Padova, se ne hanno il fegato. Così, se ne escono, scopriranno che qui non c’è più fascismo o antifascismo, solo un gran casino incontrollato per cui puoi sbattere contro uno che ti spara addosso o cerca di decapitarti col machete. Chi scrive si porta dentro una visione: sulla 56, dentro l’autobus la Babele della Bibbia: lingue incomunicanti, ubriachi, balordi, puzze di tutti i generi, ceffi del Magreb, dell’Africa nera, donne velatissime, altre aggredite, coltelli che svolazzano, l’autista che guida nella sua indifferenza cerea, unico indigeno un milanese, un vecchio che mormora tremanti avemarie. Era dieci fa.
Da allora “ci stiamo lavorando” dice il sindaco che però subito aggiunge: “La situazione nelle periferie è in netto miglioramento”. Poche ore e in via Padova, periferia dell’inferno, si mettono a sparare per strada.
Max Del Papa, 18 gennaio 2025
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